Capitolo 347: È meglio sposarsi che ardere

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"Ti trovo bene..." disse Ridolfi, dando una pacca sulla spalla a Giovanni, senza metterci troppa forza come se, malgrado le sue parole, in fondo non confidasse troppo nella solidità del fisico del cugino.

Il Popolano lo ringraziò e si assicurò ancora una volta che la porta della stanza fosse chiusa. Si erano messi nella camera delle letture, sfruttando il fatto che nessuno dei figli della Contessa in quel momento vi sarebbe arrivato.

Cesare era in Duomo, Ottaviano in città, Bianca con Sforzino nella sala dei giochi e Galeazzo e Bernardino, malgrado fosse una festa comandata, erano nel cortile d'addestramento assieme ai soldati e alla madre.

"Come mai non mi ha voluto incontrare prima lei?" chiese Simone, mettendosi su una delle poltrone in favore di camino e guardando interrogativo l'altro.

Il Medici sospirò e gli si sedette accanto, puntellandosi un po' sulla poltroncina che aveva scelto, indeciso su come cominciare il suo discorso.

"Credevo che quello che doveva dirmi fosse urgente, no? Insomma... Farmi viaggiare a ridosso della Pasqua..." continuò Ridolfi, strofinandosi in modo allusivo le brache, che ancora recavano i segni della nebbia gelata che aveva dovuto attraversare quella mattina: "Mi rendo conto che la Contessa è molto esigente con quelli che sono alle sue dipendenze, ma non vedo perché non fosse possibile attendere la prossima settimana... Se ci si pensa, io..."

"Stai zitto un attimo!" lo fermò Giovanni, che già aveva la lingua impastata e trovava difficile parlare apertamente, anche senza le chiacchiere inutili di Simone a riempirgli le orecchie.

Il Governatore di Imola che, malgrado l'apparenza era tutt'altro che uno sciocco, sentì subito la nota di nervosismo nel tono del Medici. Il cugino spesso si rivolgeva a lui con quelle brevi frasi perentorie, ma quella volta la sua voce aveva una sfumatura che Simone non riconosceva.

"Caterina mi ha chiesto di parlare con te perché pensa che, visto che ti conosco da tanto tempo, io sia più indicato per farti capire la delicatezza della situazione." disse Giovanni, con la cadenza di qualcuno che si è imparato il discorso a memoria.

'Caterina? Adesso la chiamiamo proprio per nome?' pensò Ridolfi, mascherando il suo mezzo sorriso con la mano, fingendo di sistemarsi la barba rossiccia.

Il Popolano, preso dall'agitazione, si alzò in piedi. Per quanto fino a quel momento avesse cercato di stare calmo, l'ultima lettera arrivata da Roma lo aveva indotto a pensare in modo dettagliato a tutte le possibili ripercussioni di un'unione ufficiale tra lui e la Sforza.

Fino a quel momento aveva ragionato quasi esclusivamente come un uomo innamorato, ma ora cominciava anche a sentire il politico che era in lui riemergere e poteva valutare lucidamente i pro e i contro della loro decisione.

Nel vedere il cugino scattare in piedi e mettersi a ciondolare per la stanza, appoggiandosi ora contro il davanzale della finestra ora contro il bordo del camino, Simone iniziò a preoccuparsi.

"Io e Caterina ci sposiamo." disse alla fine Giovanni, come se gli stessero cavando un dente.

Si era aspettato di sentirsi dare dello stupido e per un attimo l'espressione stolida di Ridolfi lo convinse che sarebbe stato così. Invece, poi, il mastodontico cugino si alzò dalla sua seduta e con una risata fragorosa gli andò incontro e lo abbracciò.

"Oh caspita, Giovanni! Qui ci son volute le binde!" continuò a ridere Simone, tenendo stretto a sé l'ambasciatore: "So quel che si dice, che il matrimonio è un male, ma è un male necessario! Che bello sapere che anche tu ti sposi..!"

Dopo qualche secondo ancora, il Governatore di Imola lasciò libero l'altro e lui guardò in volto, tenendolo ancora per le spalle: "Complimenti, Giovannino. E io che credevo che alla fine lei non avrebbe..." scosse il capo e con un sospiro soddisfatto lasciò definitivamente la presa sul cugino.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Tempat cerita menjadi hidup. Temukan sekarang