Capitolo 419: Stillicidi casus lapidem cavat

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Siccome si attendevano armi e rifornimenti da Firenze, i lavori al campo di Paolo Vitelli sembravano andare a rilento.

Il duro colpo inflitto ai veneziani sembrava aver fiaccato molto il nemico che, a parte una piccola zuffa avvenuta tra degli esploratori fiorentini e ricognitori della Serenissima, non avevano più dato segno di vita.

Giovanni ne stava approfittando per riprendersi e per intessere qualche conoscenza. I limiti del suo fisico lo inducevano a stare spesso seduto, se non addirittura sdraiato, ma, grazie a Ottaviano che seguiva i suoi consigli come fossero stati ordini, riusciva sempre a trovarsi nel padiglione degli ospiti interessanti con cui intrattenere discorsi molto utili.

Quando il giovane Riario aveva insistito per fargli conoscere Ottaviano Manfredi, il Medici aveva accettato e, benché come tipo il faentino gli stesse abbastanza antipatico, una volta rimasto di nuovo solo con il figliastro aveva dovuto ammettere che le idee che proponeva non erano malvagie.

"Se il suo piano andasse a buon fine – aveva detto il Popolano, ripensando al tono ottimista con cui l'esule Manfredi aveva esposto il suo progetto – non solo riusciremmo a pacificare quella striscia di terra, ma riusciremmo anche a liberare Bianca da Astorre. E credo che per tua madre questo sarebbe davvero importante."

Nel citare Caterina, Giovanni non era riuscito a non fare anche un altro genere di pensiero. Il suo corpo si stava stremando, in quei giorni. Che lo volesse o no, gli era chiaro che prima o poi – forse molto prima che poi – sarebbe stato poco più di un rottame.

Faceva fatica a camminare, salvo le mattine in cui si sentiva in forma, e anche le attività quotidiane gli diventavano penose.

Ottaviano Manfredi, invece, era giovane, forte e anche bello. Aveva ancora la tracotanza di un ragazzo, benché avesse già ventisei anni.

Con una spina di dolore nel cuore, il fiorentino era arrivato a pensare che a sua moglie non sarebbe dispiaciuto poi molto, avere a che fare con un uomo del genere, quando sarebbe arrivato il momento.

Oltre al faentino, poi, Giovanni aveva cercato di tastare il polso di altri comandanti, più importanti di lui, e aveva cercato con discrezione di propugnare l'idea che lui e la Sforza avevano in merito alle guerra tra i signorotti italiani.

Quella sera, per esempio, mentre stava seduto accanto a Ottaviano, al tavolo attorno al quale si discuteva la campagna, il Medici aveva esordito di nuovo dicendo: "Perché se ci unissimo, rispettando a vicenda i rispettivi interessi..."

"Parlate da favole." l'aveva zittito all'istante Paolo Vitelli, agitando una mano: "Siamo qui a far guerra a Pisa e voi vorreste un'Italia unita..."

Quando la riunione si era sciolta, il comandante generale delle truppe repubblicane, aveva preso da parte un paio di suoi fedelissimi e, guardando Giovanni che, zoppicando vistosamente, tornava con Ottaviano verso il loro padiglione, aveva sussurrato: "Quel Medici parla troppo. Ma adesso è di suo cugino Piero che dovremmo preoccuparci. Notizie da Baglioni?"

Il suo secondo, che era l'incaricato ufficiale di tenerlo al corrente sull'esito della condotta di Giampaolo Baglioni, fresco acquisto dello schieramento fiorentino, che aveva saputo già bloccare al castello delle Piscine Guidobaldo da Montefeltro, scosse il capo: "Le solite, mio signore. Lui è pronto a dare una scossa al fronte nord, ma vuole più soldi."

Paolo Vitelli strinse i denti e, occhieggiando verso il cielo che si scuriva, sbuffò: "Tirchi fiorentini..."


L'Oliva alzò le spalle e continuò: "Capite bene che non è il mio campo. Spiate politiche, quello sì, ma rintracciare figli illegittimi..."

La Contessa lo mise a tacere con un cenno stizzito della mano. Da qualche tempo aveva ordinato al capo delle spie di indagare sulla ragazza di cui si sparlava in città, quella che doveva essere rimasta incinta dopo una violenza di Ottaviano.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora