Capitolo 334: Il nuovo Governatore

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Nessuno era stato in grado di dirgli quando la Contessa sarebbe tornata, quindi, stanco di aspettare, Ridolfi era uscito dalla rocca per farsi un giro in città ed era rientrato solo quando ormai si avvicinava il mezzogiorno.

Stava per attraversare il ponte levatoio, le mani dietro la schiena e lo sguardo torvo che si volgeva di quando in quando alle sue spalle, alla statua del Barone Feo che svettava contro il cielo bianco di neve, sperando di intravedere la Leonessa di ritorno.

Proprio mentre indulgeva in una di quelle occhiate, Simone vide due cavalli – uno stallone e un baio – avvicinarsi e così si fermò per guardare meglio, riconoscendo la carcassa di un cinghiale su uno e Giovanni con la Tigre sull'altro.

Il Popolano montava alle spalle della donna, che teneva le redini in pugno, ma era come se cercasse di non appoggiarsi a lei, probabilmente per evitare di sollevare altre domande oltre a quelle che già sapeva che sarebbero sorte.

I due cavalcavano lentamente e, quando gli passarono accanto, nessuno dei due si prese il disturbo di salutarlo. A quel punto Ridolfi accelerò il passo e li seguì fino al secondo cortile. Vide Giovanni smontare di sella e poi aiutare la Contessa a fare altrettanto.

La donna, dopo averlo ringraziato con un sorriso e un rapido scambio di sguardi, prese entrambi i cavalli e si diresse verso la stalla, borbottando qualche ordine a uno dei soldati che li aveva accolti e indicando il cinghiale.

Simone attese un momento, tanto per non sembrare scortese. Sollevò lo sguardo, giusto per non dare l'impressione d'essere un impiccione e notò che a una delle finestre la figlia della Contessa stava guardando con attenzione verso il basso.

Restò incuriosito dal modo in cui Bianca Riario stava fissando il Medici e, ancor più, da come si ritirò quando si accorse di essere osservata. Nonostante ciò, il fiorentino si risolse subito a dirsi che i pensieri della giovane figlia della signora di Forlì non erano affari suoi.

Quando pensò che fosse finalmente il caso di farsi avanti e provare a bloccare la Sforza, per chiederle quando preferisse sentire la sua soluzione in merito alla redistribuzione del grano, Cesare Feo lo anticipò, arrivando di gran carriera e parandosi davanti alla Contessa.

Caterina ascoltò con attenzione il castellano e annuì un paio di volte alle sue parole e sul finale Ridolfi la sentì dire: "Avete ragione, dobbiamo pensarci subito. Andate nello studiolo, arrivo subito da voi."

Mentre la donna si rivolgeva ancora a Giovanni, dicendogli qualcosa a bassa voce e con una certa tensione, Simone non attese oltre e fece capolino tra i due, sfoggiando un sorriso casuale e un tono gioviale:"Buongiorno, Contessa. Ho risolto la questione di cui si parlava... Quando posso parlarvi ed esporvi quel che ho..."

"Venitemi a cercare nello studio del castellano tra un paio d'ore, adesso ho da fare." lo liquidò la Tigre, tornando a guardare un momento Giovanni e salutandolo con un lieve tocco sul braccio e un laconico: "A dopo."

Il Popolano le sorrise e ribatté: "A dopo."

Ridolfi lasciò che la donna sparisse nelle viscere della rocca, prima di puntare gli occhi ridanciani sul cugino e fischiare, dandogli una forte pacca sulla spalla.

Non aveva mai visto la Sforza indulgere in gesti gentili, se non qualche rarissimo moto d'affetto per uno dei figli più piccoli, quello nato dalla sua unione con il Barone Feo. Vederla accarezzare in quel modo il braccio di Giovanni gli aveva tolto ogni dubbio residuo a riguardo del loro attuale stato.

Le gote del Medici si imporporarono all'istante e i suoi occhi corsero ai soldati che stavano passando per il cortile, diretti alla sala delle armi. Nessuno stava facendo caso a lui e a suo cugino, ma si sentiva agitato come se tutti quanti sapessero.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Donde viven las historias. Descúbrelo ahora