Cap. 330: Sempre la confusion de le persone principio fu del mal de la cittade

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 L'inviato pontificio si passò una mano sul petto, facendo scricchiolare la lettera del figlio del papa che aveva ripiegato con cura e nascosto in una tasca interna del giubbone che portava sopra la tonaca per ripararsi dal freddo.

Si versò lentamente un calice di vino bianco, riempiendolo fino all'orlo, annusandone l'odore sapido, e solo dopo si occupò di quel che restava nella caraffa.

La stanza in cui l'avevano fatto accomodare era umida e illuminata male. Arrivare a Napoli non era stato semplice e aveva anche ritardato di un paio di giorni. E adesso non vedeva l'ora di portare a termine la sua missione e poi tornarsene nei giardini vaticani a passeggiare in silenzio, un breviario sotto al braccio e l'espressione pia di chi non ha colpe né agli occhi degli uomini né a quelli di Dio.

Quando sentì dei passi, appena fuori dalla porta di legno mezzo marcio, il messo papale si alzò dallo sgabello che gli avevano dato e si appoggiò al grezzo tavolo che stava nel centro della stanza.

"Ci riesco anche da solo." disse una voce ruvida e un po' roca, mentre l'uscio si apriva, facendo entrare il prigioniero e una delle guardie.

"Lasciateci pure soli." disse il religioso, passando con delicatezza una mano sul crocifisso che portava al collo.

Il soldato ubbidì e lasciò Virginio Orsini da solo con l'uomo appena arrivato da Roma.

"Che cosa volete?" chiese il prigioniero, i capelli sporchi, lunghi e arruffati così come la barba.

L'altro notò con piacere che gli occhietti azzurri dell'Orsini erano corsi subito alla brocca, con la voracità di chi non beve neppure un sorso d'acqua almeno da un paio di giorni.

"Vi vedo pallido." disse l'uomo del papa, prendendo il suo bicchiere e bevendone metà solo per mettere ancor più in difficoltà Virginio: "Non volete un po' di vino?"

L'Orsini distolse lo sguardo e chiese di nuovo: "Che cosa volete?"

Il messo pontificio lo fissò un momento, ammirato per quella fibra. Cesare Borja lo aveva messo in guardia, ma credeva che esagerasse. In fondo, quello che aveva davanti era solo un vecchio con indosso abiti logori e dal tanfo insopportabile. Era sorprendente quanto dignità riuscisse ancora a mostrare, malgrado tutto.

"Sono stato mandato qui – disse allora il religioso, mettendo in scena la farsa che il figlio del papa gli aveva detto in effetti di fare – per darvi ancora una possibilità di salvarvi."

Virginio gettò gli occhi al cielo, non riuscendo nemmeno più a ridere in segno di scherno. La sua mente era occupata solo dal rumore umido che faceva la gola di quel dannato prete ogni volta che sorbiva un sorso di vino.

"Scrivete a vostra sorella di arrendersi. Voi siete suo fratello, e siete il maggiore. Dovrà ascoltarvi, così è la legge del mondo e di Dio. Convincetela a cedere il castello di Bracciano e sarete entrambi salvi. Non vi sarà fatto alcun male. Potremmo prendere quel castello anche domani, ma vogliamo offrirvi questa opportunità, in nome della pietà cristiana." continuò il religioso, agitando con noncuranza il calice sotto al naso del prigioniero.

L'Orsini strinse i denti con tanta forza da farsi male e poi sibilò: "Se ad oggi il papa perde ancora tempo a cercare di convincermi ascriverle di arrendersi, significa che Bartolomea sta tenendo le difese in modo eccellente e che senza la mia intercessione voi, quel castello, non lo prenderete mai."

Il religioso strinse le labbra scure e poi fece per ribattere, ma Virginio aveva ripreso, con ancor maggior vigore, dimostrando di avere risorse quasi infinite, malgrado la lingua così secca da essere piena di piccoli tagli: "Dunque, perché dovrei impedire a mia sorella di uccidervi tutti?"

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Where stories live. Discover now