Capitolo 415: Fratelli

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I passi di Giovanni non facevano quasi rumore, sui tappeti spessi che coprivano il pavimento di palazzo Medici.

Man mano che attraversava i vari ambienti – trovandoli poco o per nulla illuminati, come se tutta la casa fosse in tono minore rispetto a come lo ricordava – il Medici sentiva il cuore battere più veloce e fare ogni tanto un piccolo salto. Era da qualche tempo che, quando si agitava, gli capitava di avvertire quella strana sensazione, ma aveva deciso di non farvi caso. Se si fosse preoccupato per ogni segnale che gli stava dando il suo corpo in quei mesi, sarebbe impazzito e basta.

Arrivato in prossimità del salone, si chiese come mai dall'uscio arrivasse così poca luce. C'era molto silenzio e non si potevano nemmeno sentire i servi che, di norma, affollavano anche a quell'ora il palazzo.

Giovanni fece un respiro molto profondo e poi, sforzandosi di zoppicare il meno possibile, allacciò le mani ancora guantate dietro la schiena, per nasconderle il più a lungo possibile e, raddrizzando le spalle, si presentò nel salone.

Lorenzo non si accorse subito di lui. Era seduto sull'ottomana imbottita, rivolto al camino spento, la schiena curva e la testa piegata di lato, come se stesse riflettendo su qualcosa.

Il fratello attese qualche istante senza parlare né muoversi. Si sentiva triste al pensiero che avrebbe solo voluto corrergli incontro, sorridergli e abbracciarlo, quando, invece, le parole e l'indifferenza che lo stesso Lorenzo gli aveva riversato addosso con le sue lettere negli ultimi due anni lo stavano trattenendo là dov'era, impedendogli di muovere anche solo un passo.

Osservava il profilo del fratello maggiore con attenzione. Anche se era seduto e abbastanza lontano, gli sembrava molto diverso. Aveva perso molto peso e c'era qualcosa, nel modo lento in cui ondeggiava la gamba accavallata, che non lo convinceva.

"Lorenzo." disse alla fine Giovanni, con la voce ferma, per quanto bassa.

Il Popolano maggiore parve raggelarsi. Voltò quasi subito la testa e lo fissò, come se avesse visto un fantasma e poi si alzò, facendo un paio di passi verso di lui, ma fermandosi ben prima di essere a tiro di un abbraccio.

Adesso che poteva vederlo davanti a sé, il minore si rese conto di non essersi sbagliato: Lorenzo era cambiato moltissimo.

Il suo viso era scavato e gli occhi tondi, un tempo dall'espressione annoiata e imbronciata, erano accesi da quella che sembrava rabbia repressa. Il fisico in generale si era asciugato, con l'unico risultato di farlo sembrare molto più vecchio rispetto ai suoi trentacinque anni.

Giovanni ebbe un momento di vuoto, quando si rese conto che il fratello avrebbe compiuto trentacinque anni a distanza di pochi giorni. Gli sembravano passati secoli, da quando festeggiavano il suo compleanno insieme.

Le labbra del Popolano più vecchio erano strette in una smorfia di disapprovazione, ma, quando parlò, si incurvarono appena verso l'alto: "Sei qui."

L'altro annuì, abbassando gli occhi chiari e mordendosi teso l'interno della guancia. La voglia di stringere a sé il fratello, che gli aveva fatto da padre per anni, restando il suo unico punto fermo per tutta la giovinezza, era fortissima. Eppure il suo orgoglio ferito gli rendeva impossibile anche solo guardarlo ancora in viso.

"Partirò domani per Pisa." disse subito il Popolano più giovane, alzando le spalle e scuotendo appena il capo: "Non ti avrei importunato, se non fosse che il viaggio è lungo e..."

"Ma che stai dicendo? Questa è casa tua. Sei sempre il benvenuto." lo zittì Lorenzo, un po' burbero, incrociando le braccia sul petto: "Anzi, se vorrai fermarti, invece di tornare da quella donna..."

"Quella donna, come la chiami tu, è mia moglie." ribatté subito Giovanni, sapendo che quel momento sarebbe arrivato: "La madre di mio figlio." precisò poi, come a voler dare molto più peso alla sua difesa.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora