Capitolo 397: Io son l'Occasione, a pochi nota...

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 "No, non dobbiamo badare a spese. Non in questo caso." disse Giovanni, con fermezza, scartando con una mano le stoffe più ruvide che Caterina aveva indicato come scelte.

"Ma stiamo mandando dei soldati in guerra, non dei damerini a una festa!" si oppose la donna, alterandosi un po'.

Le lettere che il Medici aveva ignorato, qualche sera prima, ne nascondevano una di suo fratello Lorenzo che, in via ufficiosa, lo informava del fatto che Firenze aveva accettato le pretese della Tigre e che, dunque, se a loro compiaceva, era il momento di preparare la truppa e Ottaviano alla partenza per Pisa.

Dopo un paio di giorni appena era arrivata la conferma ufficiale attraverso un messaggio formale della Signoria. L'unica aggiunta che i fiorentini si erano permessi di fare stava nella richiesta di un segno di buona volontà, ovvero l'invio anticipato di un piccolo contingente dimostrativo che cominciasse a prendere contatti con il grosso dell'esercito.

Senza pensarci un momento, vista la rischiosità di quel compito, Caterina aveva incaricato subito Achille Tiberti, sottolineando con enfasi il fatto che quella era un'occasione più unica che rara per cercare di riottenere la fiducia che aveva così spesso calpestato.

"Ascoltami Caterina – fece il Popolano, abbassando la voce e cercando i termini giusti per non dare brutte impressioni ai messi della sartoria che erano in attesa di conoscere la loro decisione – io li conosco, i fiorentini. Ci sono cresciuto in mezzo. Qui e sul campo di battaglia potrà valer poco un abito, ma ti assicuro che quando Ottaviano passerà in rassegna i suoi soldati davanti alle teste di Firenze, quelli guarderanno di che colore ha la giubba, piuttosto che di quale metallo è fatta la sua spada."

La Sforza fissò per un lungo istante le iridi chiare del marito. Erano almeno due giorni che battibeccavano su cose del genere. Se da un lato la Tigre voleva equipaggiare il figlio in modo essenziale, ma sicuro, dall'altro Giovanni insisteva per farlo partire bardato come un principe.

"Allora – prese in mano la situazione il Medici, con un leggero sbuffo, rivolgendosi direttamente ai messi della sartoria – Ottaviano e i suoi attendenti dovranno essere vestiti di seta. I suoi secondi, in panno, ma con abiti della medesima foggia. Gli armigeri dovranno avere dei tabarroni a quartieri. E gli altri, delle giornee coi busti serrati e il resto aperto, che si vedano i ricami. Per i cavalli..."

Gli occhi del fiorentino corsero finalmente di nuovo alla moglie, che, con un sospiro, decretò: "I cavalli dovranno essere i migliori della mia scuderia. Su questo eravamo già d'accordo."

Il Medici annuì e concluse: "Dovrò far preparare finimenti d'oro e d'argento per gli alti in grado. E poi voi dovrete preparare anche diciassette pezzi di padiglione, tende e trabacche. E dovremo dargli dietro anche almeno una ventina di muli per le vettovaglie."

La Leonessa si morse le labbra, ma non commentò, limitandosi a congedare i giovani della sartoria con un semplice: "Avete sentito? Vedete che sia tutto pronto per la fine del mese."

Questi raccattarono gli esempi di stoffe che avevano portato e, con ossequiosi inchini, lasciarono la camera di gran fretta parlottando tra loro.

Appena furono di nuovo soli, la Contessa diede una piccola spinta alla spalla del marito: "Ma ti rendi conto della spesa che comporterà questa messinscena?!"

Giovanni sbuffò e frenò la mano della moglie, appena prima che gli desse un nuovo scossone: "E ti rendi conto che pagherò tutto di tasca mia?"

"Nessuno te l'ha chiesto." fece subito la Sforza, rabbuiandosi.

Maggio si era già fatto molto caldo e Caterina stava vivendo giornate difficili. Da un lato c'erano le preoccupazioni per la campagna militare – amplificate davanti alla manifesta incapacità di Ottaviano che si rendeva ridicolo a ogni esercitazione – dall'altro la difficoltà che lei stessa incontrava nel riprendersi ogni qual volta che faceva qualche sforzo fisico eccessivo e il sonno, che le mancava di continuo per gli incubi che si erano fatti sempre più invadenti e vividi, e dall'altro ancora c'era l'insofferenza nel sottrarre tempo a Ludovico.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Where stories live. Discover now