C447:Ma i coraggiosi riflettono sui pericoli al loro sopraggiungere...

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"Devo mettermi addosso un po' di ferro – spiegò, camminando rapida, la Tigre, mentre Luffo Numai le zampettava accanto, cercando di stare al suo passo – e poi andrò direttamente alla Porta Schiavonia, perché devo decidere come coordinare la difesa."

"Gaspare Sanseverino è tornato in città da meno di un'ora – l'avvisò Numai, il fiato grosso e gli occhi spaventati – dice che si è presentato in vostra difesa al posto di suo fratello Giovan Francesco perché quest'ultimo, nella strada verso la nostra città, è stato preso da certe febbri e ora riposa sulla strada di Fosso Verde, nella casa che era stata di Marino Orcioli."

Nel sentir nominare uno degli Orcioli, la Contessa ebbe un solo, infinitesimale momento di tentennamento. Sapeva benissimo che quella – come tante altre case confiscate – era rimasta a uso e consumo dei viandanti o riqualificata come locanda.

Non le interessava sapere di preciso quale fosse stato il destino di quella di Marino Orcioli, perciò non fece domande a riguardo, limitandosi a dire: "Che Fracassa mi raggiunga al più presto alla Porta Schiavonia, allora."

Lasciando indietro Luffo, Caterina allungò ulteriormente il passo, fino a raggiungere prima le sue stanze – dove recuperò un paio di brache da uomo e un camicione abbondante – e poi la sala delle armi. L'ambiente già brulicava di soldati che si scavalcavano l'un l'altro per prendere armature e armi e alla donna ci volle qualche minuto, prima di riuscire a trovare nella piccola folla il maestro d'armi.

"Prendete la mia armatura – gli disse – la mia spada da una mano e mezza e il mio elmo."

Mentre l'uomo si buttava nella mischia, per raggiungere un armario chiuso a chiave dove custodiva i ferri della Sforza, la Leonessa sentì una voce che ormai conosceva bene alle sue spalle.

"Dunque ci stanno per attaccare." le sussurrò Giovani da Casale, appena udibile sopra al clangore degli armigeri: "Avete già deciso come ci difenderemo?"

La Contessa lo guardò con la coda dell'occhio e si rese conto che il milanese era già vestito di tutto punto, perciò, non appena il maestro d'armi le portò le sue cose, lei le passò in mano al suo amante e gli ordinò: "Venite con me. Dovete aiutarmi a indossarla. Gli scudieri servono di più ai miei soldati che non a me."

Senza protestare, Pirovano prese armi e bagagli e la seguì fino a una stanzetta al piano terra, usata di norma come ripostiglio. La donna non perse tempo e si spogliò in fretta, indossando gli abiti da uomo che aveva preso nella sua camera.

Giovanni non fece una piega, fingendo di non notare il corpo per cui aveva perso la testa, e non appena la Contessa fu pronta, l'aiutò a infilare ogni singolo pezzo della sua armatura.

In tutto ci vollero pochi minuti, ma a Caterina sembrava già di averci messo troppo tempo. Lasciò l'abito che aveva tolto lì dov'era, pensando che, se fosse sopravvissuta, sarebbe tornata a prenderlo in un secondo momento, e poi uscì dalla stanzetta, seguita da Pirovano.

Con l'uomo che la seguiva sempre a stretta distanza, la Tigre prese un cavallo dalle stalle e uscì poi a gran velocità dalla rocca.

Giovanni da Casale avrebbe voluto fare altrettanto, ma si era reso conto che a Ravaldino stava cominciando a crescere la confusione. In più, coperti dall'assordante suonare delle campane, stavano arrivando molti soldati dal Quartiere Militare e così, a malincuore, rimase al suo posto e fece del suo meglio per aiutare i Capitani a coordinare l'azione.

Caterina era finalmente arrivata a Porta Schiavonia. Scese dal cavallo ancora in corsa, benché appesantita dall'armatura e, levandosi l'elmo per tenerlo sotto al braccio, richiamò a sè i comandanti del rivellino.

Scesi dai camminamenti i due uomini le riferirono in poche rapide frasi di come i veneziani fossero arrivati con ogni probabilità dal campo che avevano allestito vicino a Villafranca e che, ormai, fossero a meno di un miglio dalle mura della città.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Where stories live. Discover now