Capitolo 448: Non fare il forte con il vino, perché ha mandato molti in rovina.

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Forse la si sarebbe potuta considerare una condotta azzardata, ma, una volta sistemato un consistente numero di guardie sui camminamenti e sulle torri d'osservazione, Caterina aveva proclamato una sera di festa per la città.

Il fatto che non si fosse arrivati a un vero e proprio scontro e che, soprattutto, i veneziani se ne fossero tornati sui loro passi senza lasciarsi alle spalle cadaveri se non quelli dei loro stessi uomini, era una vittoria che andava celebrata con tutti i crismi.

Malgrado le dispense cittadine non fossero al massimo, la Contessa ordinò che quella notte venissero offerti cibo e vino in ogni angolo della città e che tutti i soldati – eccetto quelli di turno, che avrebbero dovuto attendere il cambio di guardia – mangiassero e bevessero a volontà.

La stessa rocca fremeva di vita, le torce tutte accese e motti spontanei e cori che si sollevavano in ogni angolo.

Benché la Tigre avesse avuto soprattutto una grande fortuna, tutti quanti vedevano in quella miracolosa vittoria il suo merito. Secondo i suoi soldati, la Sforza era riuscita a non perdere la testa e anche a ideare un trucco che aveva ingannato i veneziani alla perfezione.

Dal canto suo, Caterina, dopo un lungo momento di incredulità – perché a lei per prima sembrava assurdo di essere riuscita a scacciare i veneziani con tanta facilità – aveva riabbracciato tutti i suoi figli e non si era separata da Giovannino nemmeno per un attimo, durante il banchetto improvvisato che aveva fatto allestire a Ravaldino, per i suoi comandanti e alcuni soldati.

Alla sua destra sedeva Galeazzo, che, gonfio di orgoglio tanto verso sua madre quanto verso se stesso, se ne stava ritto come un fuso, bevendo di tanto in tanto un po' di vino e mangiando poco, lo stomaco ancora chiuso per le emozioni di quella lunga giornata.

Alla sinistra della Tigre c'era Bianca, con accanto Sforzino che, passato il pericolo, si era visto ritornare il sorriso e l'appetito.

La Contessa teneva Giovannino sulle gambe e il bambino, che pur non amava troppo la confusione, pareva apprezzare la vorticosa festa che si era animata attorno a lui.

Qualche musico improvvisato aveva anche cominciato a suonare strumenti recuperati all'ultimo minuto e più di un soldato, dopo essersi riempito di cibo e vino, era sceso in pista, tra i tavoloni della sala, e aveva cominciato a far danzare qualche serva.

"Vai a ballare anche tu, se vuoi..." fece Caterina, guardando di sottecchi Bianca.

La ragazzina aveva le gote un po' arrossate – anche lei, passato lo spavento, si era lasciata contagiare dal giubilo di Forlì e aveva bevuto un paio di calici in più del solito – e fissava con aria strana quelli che stavano danzando.

"Sto bene qui." disse alla fine la Riario, tenendo le mani in grembo e sorridendo pacata alla madre.

La Leonessa non insistette e vuotò l'ennesimo bicchiere che le era stato riempito. Aveva perso del tutto il conto di quanto stesse bevendo. Non le importava. Era felice come non le capitava da tempo, si sentiva potente e fiera, però l'assenza di suo marito Giovanni la pungolava come un coltello affilato e il vino sembrava l'unica cosa capace di lasciarle l'euforia e toglierle la tristezza.

"Mia signora – Fracassa era arrivato alle sue spalle e si era chinato verso di lei, per riuscire a farsi sentire anche attraverso la confusione – forse sarebbe il caso di discutere il posizionamento delle truppe per i prossimi giorni..."

La donna avvertì il suo alito pesante e il lezzo dei suoi vestiti sudati. Vide il suo volto sgraziato e la sua espressione che aveva sempre quel velo di stupidità che, anche quando smentito dalle sue note capacità militari, dava ai suoi occhi una patina opaca.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Where stories live. Discover now