Capitolo 264: Settanta volte sette.

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Caterina si girò tra le lenzuola in uno stato di torpore e apparente calma. La sua mente vagò per qualche istante in una nuvola di confusione quasi piacevole, fino a che i suoi occhi non si aprirono, lasciando trasparire la luce del giorno.

Doveva essere mattina da poco. Le sembrava di aver dormito per settimane. Aveva in sé un senso di stordimento che la ingannò per un po'.

Quando poi, però, allungò una mano al suo fianco e non vi trovò nessuno, come un pugnale che si rigirava nelle sue carni, ritornò la consapevolezza.

E con la certezza che Giacomo fosse morto, arrivarono le immagini di quello che era accaduto subito dopo. Dei corpi martoriati dalle sue guardie. Della folla che si rincorreva in preda al panico per tutta la città. Del funerale. Della morte di Ludovico Marcobelli.

Mettendosi a sedere di scatto con le mani ad artiglio sullo stomaco, Caterina si sentì mancare il fiato nei polmoni.

La sua pozione l'aveva fatta dormire un lungo sonno privo di sogni e coscienza, ma ora che si era risvegliata, l'incubo era ricominciato.

Era riuscita a stendersi su quel letto solo grazie all'incoscienza data dal suo rimedio 'a far dormire', altrimenti non sarebbe stata in grado di abbandonarsi con tanta semplicità sul giaciglio che aveva accolto così tante volte lei e Giacomo.

Era in quella stanza che si erano amati per la prima volta e il solo ricordo di quella prima notte assieme approfondò il senso di vuoto nel centro del petto della Contessa, scavando tanto a fondo da farle provare una disperazione ancor più forte di quanto non avesse avvertito fino a quella mattina.

Cercò di quietare il respiro, di calmare i dolori al ventre e al torace e pian piano, mentre i ricordi tornavano confinati in un angolo della sua memoria, il presente ritornava a far capolino.

Dei colpi alla porta la riportarono in modo definitivo alla realtà: "Chi è?" chiese, avvertendo la propria voce quasi come qualcosa di estraneo.

"Sono io." rispose Tommaso dal corridoio.

"Entrate." permise la Contessa, senza badare a vestirsi.

Indossava una sottoveste che aveva trovato nella cassapanca la sera prima, una di quelle che non metteva da anni, ma non le importava se a vederla in abiti tanto discinti era il cognato. Tommaso l'aveva vista anche più nuda di così – come gran parte dei forlivesi, dopotutto – quando, stando sulle merlature di Ravaldino, si era sollevata la veste davanti agli Orsi, anni prima.

Il Governatore, infatti, non fece una piega nel trovarla ancora seduta sul letto e in abiti da notte.

"Ditemi tutto." lo incoraggiò Caterina passandosi una mano sugli occhi, mentre la sua pancia si contraeva in un crampo.

"Pavagliotta ha fatto molti nomi, questa notte – spiegò il Governatore di Imola, mentre la Contessa si era messa a raspare nella cassapanca in cerca di un abito per la giornata – e la maggior parte delle persone che ha nominato erano già in cella. Gli altri li stiamo catturanto e certi li stiamo ancora cercando, ma tra quelli che abbiamo preso ce n'è uno che non riusciamo in alcun modo a collegare alla congiura."

Caterina sollevò un sopracciglio e guardò il cognato incredula: "Se Pavagliotta lo ha nominato, non vedo come possa essere innocente. Che senso avrebbe?"

"Volete interrogarlo voi stessa?" propose Tommaso.

La Contessa vide le proprie dita tremare, così le appoggiò con forza al legno della cassapanca e si disse che prima di dare ordine di arrestare i suoi figli le sarebbe stata utile una valvola di sfogo. E del cibo.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Kde žijí příběhy. Začni objevovat