Capitolo 375: Siamo alle porte co' sassi...

267 27 152
                                    

"Alessandro Bentivoglio è entrato in città qualche giorno fa, ma se n'è subito andato..." stava dicendo Lorenzo, sfogliando le carte che aveva sotto al naso: "Appena ha capito che Firenze è appestata, ha preferito correre a Pisa. Ha preferito le colubrine al morbo..."

Il segretario del Popolano fece un cenno con il capo, come a dire che secondo lui il figlio di Giovanni Bentivoglio non aveva poi tutti i torti.

"Non hanno ancora pensato di chiudere le porte della città?" intervenne Semiramide, che fino a quel momento era rimasta vicina alla porta, ascoltando tutto, ma non dicendo nulla.

"I morti non sono molti, mia signora..." spiegò il segretario, voltandosi verso di lei facendo grattare le gambe della sedia contro il pavimento: "La peste sta uccidendo solo i vecchi e sta risparmiando molti giovani e anche i bambini..."

"Non mi pare, però, che sia un comportamento saggio... Se non si mettono in atto misure di sicurezza, come..." prese a dire la donna, ma il marito la interruppe bruscamente.

"Questi affari non ci competono!" disse con tono perentorio l'uomo: "Quel che ci preme è sapere delle decisioni della Signoria in merito alla guerra."

"Ci interessa anche della peste, invece." lo contraddisse la moglie, infischiandosene dello sguardo del segretario che correva prima a lei, poi a Lorenzo, curioso di vedere chi l'avrebbe spuntata: "Con che coraggio una città appestata può volerne conquistare un'altra?"

"Tu parli così solo perché vuoi tornare a Firenze e allora speri che le febbri spariscano in fretta. Se avessi la visione d'insieme che..." cominciò a dire il Medici, ma a quel punto Semiramide gli aveva già dedicato uno sbuffo e un'alzata di spalle ed era andata alla porta, lasciandolo solo con il segretario.

Da quando erano alla Villa di Castello, Lorenzo non si era più recato alla Signoria, per paura di venire contagiato, e aveva cominciato a rimuginare in solitudine, basandosi su fatti riportati e parole di questa o quella spia.

Secondo Semiramide quel metodo non aveva alcun senso. Avrebbe voluto convincere suo marito a fare pressioni nel loro partito affinché votassero per la chiusura delle porte, in modo da velocizzare la fine della peste e poter a quel punto seguire il suggerimento di Giovanni.

Il Popolano più giovane, infatti, in una delle sue ultime lettere aveva sottolineato l'importanza di far sottoscrivere alla repubblica una condotta per il Conte Ottaviano Riario che avrebbe portato con sé non solo soldati ottimamente preparati, ma anche la fedeltà di Imola e Forlì, permettendo a Firenze una certa distensione sul fronte orientale, una volta suscitata la guerra con Venezia.

Semiramide aveva capito benissimo che Lorenzo si era reso conto della validità di quella proposta, e dunque la faceva arrabbiare doppiamente il modo in cui lui si ostinava a rimandare e sminuire l'idea avuta da Giovanni.

"Se non lo proponi tu – gli aveva detto una sera, stanca e particolarmente abbattuta per via del clima grigio dell'autunno – andrò io alla Signoria a chiedere che ingaggino questo Riario."

A quel punto Lorenzo aveva riso a mezza bocca e, per la prima volta da che erano sposati, si era permesso di offenderla, dicendo con fredda ironia: "E di certo la Signoria ascolterebbe una donna come te, divenuta grande esperta di guerra per gli anni passati a ricamare davanti al camino."

Semiramide, in alcuni giorni, stentava a riconoscere l'uomo che aveva sposato anni addietro, in quello che suo marito stava diventando.

Era astioso, secco, sempre meno affettuoso, tanto con lei, quanto con i loro figli. La prima scheggia di ghiaccio nel suo cuore, la donna lo sapeva benissimo, s'era conficcata alla morte di Averardo e da allora non aveva fatto altro che ingigantirsi.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora