Capitolo 405: ...poiché si andava allo ingiù e a occhi chiusi.

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Caterina si versò da bere, ma poi, appena prima di portarsi il calice alle labbra, lo spinse verso il figlio, seduto dall'altro lato della scrivania.

La Contessa aveva scelto appositamente quella stanza, ultimamente usata dai costruttori del mastio per discutere il progetto, sia perché in un punto tranquillo della rocca, sia per via della presenza di quel tavolo. Voleva una barriera fisica, tra sé e Ottaviano.

La camera era tranquilla. Per via dell'aria un po' chiusa, dopo aver fatto sedere il figlio, la Tigre aveva aperto la finestra, lasciando entrare l'odore pungente del tardo pomeriggio estivo e il suono lontano delle cicale.

Ottaviano guardò il calice colmo di vino nero che gli era stato posto davanti e poi risollevò lo sguardo verso la madre.

Questa incrociò gli occhi castani del primogenito per appena un secondo, ma tanto bastò per agitarle nel petto un groviglio di emozioni spiacevoli che la indussero a cercare un bicchiere anche per sé. Avrebbe dovuto pensarci mentre erano ancora in cucina.

Per fortuna i capimastri non erano uomini troppo ordinati e così ne trovò uno discretamente pulito appoggiato sulla credenza. Ne passò il bordo con un lembo della manica e quando le parve passabile, prese la caraffa e si servì abbondantemente.

Sollevando il calice verso il figlio, lo invogliò a un brindisi, che, con riluttanza, Ottaviano ricambiò.

Caterina sentì con piacere il vino nero e forte scenderle nella gola, scaldandole lo stomaco e rinfrancandole i nervi. Da quando Ludovico non era più nella pancia, il suo gusto per il vino era tornato tutto di colpo.

Il giovane Riario non osava parlare. I gesti secchi e il silenzio protratto di sua madre, che da quando erano lì si era espressa con lui senza bisogno di parlare, lo mettevano in ansia.

Dal canto suo, invece, la Sforza si sentiva attanagliata dal rifiuto che provava verso quel figlio.

Avrebbe voluto parlargli della questione sollevata da Giovanni. Avrebbe voluto chiedergli se era vero che aveva messo incinta quella popolana e anche se avesse altri figli in giro. Avrebbe anche voluto pregarlo di smetterla una volta per tutte di comportarsi a quel modo con le donne, che fossero o meno di qualche bordello. Invece non riusciva a spillare parola.

Il ragazzo, curvo nelle spalle, mosse agitato le lunghe e secche gambe sotto al tavolo e bevve ancora un po' di vino.

Non gli piaceva. Però sperava che quel calice lo aiutasse a trovare un minimo di coraggio. Anche se sentiva la gola bruciare, un sorso dopo l'altro arrivò al fondo del bicchiere.

Prima che potesse riprendersi dal forte contraccolpo che quel vino scuro gli stava dando, sua madre già gli stava riempiendo di nuovo il boccale. Il giovane provò a rifiutare, ma la donna continuò a versare imperterrita, servendo anche a se stessa una seconda razione.

"Tra due giorni lascerai Forlì." esordì Caterina, non sapendo in che altro modo cominciare.

Ottaviano spalancò involontariamente gli occhi, colto dal terrore che lo prendeva tutte le volte che si rendeva conto che la partenza per la guerra era ormai tanto vicina.

Quell'espressione di paura e viltà fece scattare i nervi della Tigre che, gettando alle ortiche tutti i buoni propositi che il vino le aveva suggerito, si alzò di scatto e batté un pugno sulla scrivania, gridando: "Sei come tuo padre! Quando doveva partire per la guerra contro i Colonna aveva la tua stessa faccia! Sei un uomo, Ottaviano! Comportati come tale!"

Il Riario, quasi tremando, aveva chinato il capo, impotente dinnanzi alla furia della madre.

Ansante, Caterina si lasciò ricadere sulla sedia con pesantezza. I suoi occhi verdi corsero al figlio e la rabbia lasciò per una frazione di secondo il posto alla commiserazione.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Where stories live. Discover now