Capitolo 427: Tramontata è la Luna, tramontate le Pleiadi...

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Gli occhi tondi e a mezz'asta di Paolo Vitelli scrutavano nella bruma dell'aurora l'orizzonte. Si rendeva conto di non essere stato pagato abbastanza per prendersi tanto incomodo, ma era un uomo d'onore e non sopportava certi affronti.

Era ancora fresco delle vittorie stupende e semplici che aveva riportato in Val di Calci e nella presa della fortezza di Verruca. E quei detestabili veneziani non gli avevano nemmeno dato il tempo di far riprendere le truppe, prima di colpirlo in modo ignobile.

Anche lui, a volte, si serviva dell'inganno, ma quella volta si sentiva proprio preso per i fondelli.

Era stata una leggerezza, indubbiamente, da parte sua dare ordine alle truppe di accamparsi vicino alla chiesa di San Michele, sulla Verruca. Però mai si sarebbe aspettato una tale insolenza dagli uomini della Serenissima.

Uscendo da Pisa all'improvviso, un contingente era piombato sul campo, che in quel momento era pressoché sguarnito, e aveva ucciso quasi tutti quelli che vi erano rimasti, portando chiaramente via armi e cibo.

Per punire il nemico, Paolo aveva ideato un piano perfetto. L'assedio a Vicopisano, che si era riacceso dopo alcune prese di posizione dei difensori, andava inasprito, e lo si doveva fare dalla parte di San Giovanni della Vena.

Questa volta, però, Vitelli non aveva alcuna intenzione nè di patteggiare – dato che poi era stato gabbato a quel modo dagli stessi che avevano promesso di non attaccarlo, in cambio di un momentaneo arresto dei suoi assalti – nè di sprecare soldati.

Passando la punta del piede sull'erba che stava un po' ingiallendo, forse più a causa del caldo torrido che non dell'avvicinarsi dell'autunno, il comandante osservò ancora con attenzione il falconetto posto sullo sperone di roccia.

Aveva fatto sistemare tutti i pezzi d'artiglieria, da quelli leggeri a quelli pesanti, in punti molto impervi e poco visibili dalla cinta muraria.

Avrebbe attaccato da dove nessuno poteva scorgerlo e l'avrebbe fatto di continuo, fino a prendere il nemico per sfinimento, o per fame o perché le sue dannate mura di recinzione erano crollate sotto i colpi dei suoi cannoni.

"Mio signore..." il suo attendente gli arrivò alle spalle, il fiato un po' grosso per la salita che aveva fatto per raggiungerlo: "C'è questo per voi."

Il Vitelli prese il messaggio e come lo aprì riconobbe la cifra che usava il capo delle sue spie. Lesse in fretta la richiesta con cui il suo collaboratore voleva sapere se controllare o meno le eventuali vie di fuga secondarie del nemico.

"Rispondete di sì." ordinò all'attendente, restituendogli la missiva: "E poi scrivete a mio fratello Vitellozzo. Che si prepari ad affiancarmi, che potrebbe essercene necessità."


Simone se n'era andato la sera prima, non senza alzare la voce. Quando la Contessa lo aveva messo a parte della decisione di Giovanni di andare a San Pietro in Bagno per tentar una cura con le acque terapeutiche di quel posto, il Governatore non era riuscito a trattenersi e aveva dato in escandescenze.

Se l'era presa molto con la Sforza, dicendole che così facendo mandava a morire il Medici e che allontanarlo proprio quando aveva più bisogno di lei era una crudeltà.

Quando, però, aveva incrociato i suoi occhi, che si erano abbassati quasi subito, mentre dalle sue labbra usciva la breve ammissione: "Io non volevo, è stato lui a insistere." Ridolfi si era sentito come spegnere.

Sapeva da sempre che Giovanni era un tipo risoluto, per quanto potesse apparire accomodante e dal tono dimesso con cui la Tigre aveva parlato, era chiaro che fosse stato davvero il Medici a imporle quella decisione.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Where stories live. Discover now