Capitolo 283: Fiducia

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Gli ambasciatori di papa Alessandro VI arrivarono a Castelfranco con un giorno di ritardo rispetto a quelli della Lega Santa.

Virginio Orsini, che se ne sarebbe andato dalla zona di Todi molto prima, se solo la paga non fosse arrivata con tanta difficoltà, accolse gli uomini di Roma con incredula sorpresa.

Prima di tutto, i messi di Rodrigo Borja lo criticarono apertamente e davanti ai suoi sottufficiali per il modo in cui era entrato a Monteleone d'Orvieto con la forza e poi, in modo non dissimile da come avevano fatto quelli della Lega, lo biasimarono per la sua scelta di schierarsi con i francesi.

Mangiando la foglia, Virginio aveva chiesto ai suoi di lasciarlo solo con i messi pontifici e, una volta ottenuta la segretezza necessaria, si voltò con impeto verso gli uomini di Roma e, con i baffetti che si agitavano come le vibrisse di un gatto esclamò: "Potevate evitare!"

Gli inviati papali allargarono le braccia, si scambiarono mezze frasi e si scusarono a mezza bocca, dicendo che era necessario, al buon fine del loro compito, che nessuno a parte l'Orsini sapesse la verità.

"Se mi prendete così a male parole davanti ai miei soldati, io che posso fare poi per farmi rispettare da loro?!" proseguì Virginio, mettendosi le mani strette a pugno sui fianchi.

Da giorni non dormiva bene. La vita militare cominciava davvero a essergli di peso e, se solo avesse potuto farlo, avrebbe mollato tutto in quel preciso istante.

Alla sua età non era il caso di correre a quel modo dietro ai giochetti di uno o dell'altro. Se sua sorella Bartolomea ne aveva ancora la fibra, Virginio non si sentiva più fatto della sua stessa pasta.

Tuttavia sapeva di non poter lasciare il campo così, proprio quando il gioco si faceva difficile. Non era nel suo stile.

Rodrigo Borja stava tessendo una rete imperscrutabile e siccome l'Orsini era entrato a farne parte, senza neppure rendersene conto, doveva fare del suo meglio per far filar liscia la matassa che gli spettava.

Il papa si dichiarava fedele alla Lega antifrancese da lui stesso costituita, ma di fatto suo figlio si stava avvicinando al regno d'Oltralpe, tanto da essere stato messo dal Santo Padre sotto l'ala protettrice di Paolo Orsini.

Virginio, che stava cercando con quei brevi ingaggi di mettere da parte un po' di soldi, era passato in modo più netto dalla parte di Carlo VIII e al contempo del figlio del papa e quindi Alessandro VI doveva fingere di discostarsene, per non adirare la Lega.

Tutti quegli intrighi non facevano più per Virginio. Gli doleva la testa ogni volta che provava a raccapezzarsi. La politica non era più quella di un tempo. Da quando era papa un Borja, il sotterfugio aveva rimpiazzato l'onore delle armi e questo a Virginio non andava giù.

Passandosi una mano tra i capelli ancora abbastanza scuri, ma sempre più radi, l'Orsini sbuffò e guardò di soppiatto i messi pontifici: "Ferrandino d'Aragona ha davvero venduto a Venezia tutte quelle città?"

Uno degli ambasciatori si fece avanti e annuì: "Brindisi, Trani, Otranto e Gallipoli. Ci ha guadagnato duecentomila ducati."

Virginio soppesò quel dettaglio e poi avvertì il solito fastidio che gli prendeva lo stomaco quando non mangiava per troppo tempo. Gli facevano male le gambe per il tempo trascorso in piedi sotto la pioggia a Monteleone d'Orvieto, e aveva pure una spalla che scricchiolava e gli doleva quando la sollevava troppo. Insomma, non c'erano altre cosa da dire: era vecchio e basta.

"E sia, e sia..." sussurrò tra sé, poi si rivolse di nuovo ai romani: "La Lega mi ha offerto quarantamila ducati per farmi ritirare dalla condotta francese e sta minacciando di invadere le mie terre, lo sapete, sì? Il papa lo sa?"

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Where stories live. Discover now