Capitolo 406: 21 giugno 1498

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Arrivato il mattino, Caterina si era svegliata con un forte mal di testa e la pelle intirizzita. Benché fosse giugno, faceva abbastanza fresco e lei era rimasta scoperta, la pelle nuda che non poteva beneficiare nemmeno del contatto con quella del marito, visto che Giovanni non c'era.

La Contessa aveva ricordi confusi del giorno addietro e l'unica cosa di cui era certa era di aver detto e fatto cose che avrebbe fatto meglio ad evitare.

Chiedendosi con una certa angoscia se il fiorentino non avesse lasciato la loro stanza proprio per colpa di qualcuna di quelle cose, la donna si vestì in fretta, sforzandosi di ignorare il pulsante picchio che aveva nel cervello, e lo cercò.

Tirò un sospiro di sollievo quando lo trovò, nella luce tenue del mattino, nella camera di Ludovico, con il loro piccolo in braccio.

Giovanni la guardò entrare e, dopo un solo istante di esitazione, le riservò un ampio sorriso e le disse: "Guarda com'è bello nostro figlio..."

La Tigre, rincuorata dalla pacatezza con cui il marito le aveva parlato, si sistemò sulla poltrona, vicino a lui e a Ludovico, e attese in loro compagnia che le passasse il dolore alla testa e anche il bruciore alla bocca dello stomaco.

Vedere il marito tanto affettuoso con Ludovico le scaldava il cuore più di qualunque altra cosa. Era una vera gioia, saperlo così innamorato del piccolo e la certezza che il bambino potesse contare su una figura paterna tanto positiva riusciva a tacitare in parte le ansie della Tigre.

"Tienilo un po' tu..." le disse a un certo punto Giovanni, facendole segno di prendere Ludovico.

La Sforza fece come le era stato chiesto, ma una piccola spina le si rigirò nel cuore, quando capì che la richiesta del marito era arrivata soprattutto per la sua difficoltà fisica nel tenere quella posizione fissa.

"Stai bene?" gli chiese, mentre l'uomo si alzava e cercava di risvegliare un po' le sue articolazioni doloranti.

Il fiorentino non aveva risposto subito. Mentre Ludovico attirava l'attenzione della madre appoggiandole le piccole dita sul volto, il Medici prendeva tempo, per evitare che dalle labbra gli uscisse un tono troppo amaro.

"Quando sto con voi, sto bene." sussurrò alla fine, ritornando verso la moglie e il figlio e aprendosi in un sorriso che, però, aveva solo l'ombra dell'allegria innata che aveva solo qualche mese addietro

Fino a sera, pur restando insieme per tutto il tempo, né la Sforza né il Medici fecero accenno a quello che era successo il giorno prima.

Nemmeno dopo aver incontrato Ottaviano in uno dei corridoi, mentre loro due erano su una della panche a leggere assieme un libro, avevano osato ripercorrere la mezza discussione che aveva rischiato di far fare a entrambi dei grossi errori.

Tanto la Contessa quanto il Popolano avevano sollevato lo sguardo verso il giovane Riario. Questi era parso incerto se fare un cenno di saluto o meno e, dopo quella brevissima parentesi di imbarazzo, aveva riabbassato la testa ed era andato dritto per la sua strada senza nemmeno provare a parlare.

Solo dopo cena, quando si trovarono di nuovo da soli e al sicuro della loro camera, Caterina provò a tastare il terreno per vedere se fosse cedevole o meno.

Dopo la giornata passata, fondamentalmente, a riprendersi dagli eccessi del dì precedente, la donna si sentiva molto meglio e, passato anche il cerchio alla testa, si sentiva pronta ad affrontare anche un altro strascico della sera prima.

Si propose al marito, ma senza aggressività o fretta. Quando lui la guardò in un modo che alla donna piacque poco – quasi con sospetto – capì che quello che gli aveva detto la sera prima doveva averlo ferito più di quanto non volesse mostrare.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Where stories live. Discover now