Capitolo 315: Dove ci sono troppe mani, usa la chiave

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 "Mi pare anche che vi stiate rimettendo..." disse piano Caterina, dopo aver spiegato abbastanza frettolosamente che gli impegni di Stato la reclamavano.

Giovanni fece una breve smorfia di assenso. Era seduto sul letto, la schiena appoggiata alla testiera imbottita e, in effetti, ormai lo si poteva considerare del tutto rimesso.

Il pensiero, però, di dover passare la giornata lontano dalla Tigre pareva averlo fatto di nuovo precipitare nel penoso stato in cui era rimasto confinato fino a poche ore prima.

"Sì, mi sento molto meglio." disse a voce bassa il Medici,senza tradire troppo il suo dispiacere con l'intonazione della voce.

Alla Contessa, però, non sfuggì quel repentino cambiamento d'umore e per qualche istante fu tentata di lasciar perdere la riunione del Consiglio e restare ancora un po' assieme all'ambasciatore di Firenze.

Avevano in programma di leggere assieme ancora qualche pezzo dell'Inferno di Alighieri. Giovanni aveva assicurato di conoscere alcuni dei direttissimi discendenti di certi personaggi messi dal poeta a rosolare in eterno tra le fiamme e si era riproposto di commentare ad hoc tutti i versi più significativi.

Caterina avrebbe davvero voluto indulgere in quel passatempo, che,spogliato dall'interesse letterario più verace, restava solo un piccolo angolo di pettegolezzo. E un modo come un altro per restare in compagnia del fiorentino.

Tuttavia, malgrado la sua mente stesse andando con nostalgia alle ore da poco trascorse assieme al Medici, passate a leggere, scherzare e dimenticarsi del resto del mondo, la Contessa assunse un'espressione dura e ribadì: "Purtroppo questo Stato è in mano mia e non posso lasciare che siano gli altri a pensarvi."

Non doveva lasciare per nessun motivo che Giovanni la distraesse troppo dalla ragion di Stato. Era un errore grossolano che aveva già commesso con Giacomo. Non poteva caderci una seconda volta.

"Lo capisco." annuì piano l'ambasciatore, lisciando appena il risvolto della coperta che si era tirato fino al petto: "Lo capisco perfettamente."

"Certo che lo capite." soffiò la Tigre, che in quel momento avrebbe quasi sperato in una richiesta tanto accorata di restare, da parte di Giovanni, da non poterla rifiutare.

Senza aggiungere altro, Caterina fece un cenno del capo al toscano e lasciò la stanza.

Andò un momento nella sua camera, che stava proprio accanto. Si cambiò rapidamente d'abito e poi si diede una veloce controllata allo specchio.

Voleva apparire in ordine, davanti al Consiglio. La sua assenza era di certo stata notata e se qualcuno avesse saputo o si fosse accorto in qualche modo anche della concomitante latitanza del Medici, in breve molti avrebbero cominciato a pensare che la Contessa e l'ambasciatore avessero passato tutto quel tempo assieme.

Era in effetti quello che davvero avevano fatto, ovviamente, ma si era trattato di una compagnia reciproca molto diversa da quella a cui tutti avrebbero pensato nel sapere coinvolti la Tigre e un uomo.

Mentre si guardava riflessa sulla superficie un po' irregolare chele rimandava la sua immagine, Caterina ebbe un breve momento di smarrimento.

Le striature bianche, tra i capelli biondi, ormai non si nascondevano più tanto. La sua pelle iniziava a risentire della mancanza delle consuete attenzioni che le aveva riservato prima della morte di Giacomo. Le sue labbra erano tirate in un'espressione neutrale che tradiva una certa infelicità. E i suoi occhi erano stanchi.

Più di qualsiasi altro dettaglio del suo viso, fu quello ad attirare la sua attenzione.

Negli ultimi mesi poteva dire di non essersi mai soffermata a indagare il proprio riflesso allo specchio e dunque scoprirsi così,all'improvviso, l'aveva lasciata senza parole.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora