Capitolo 326: Non tramonti il sole sopra la vostra ira.

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 Per evitare incidenti diplomatici inutili, Caterina aveva deciso di estendere l'invito alla rocca, per Natale, non solo ai rappresentanti delle nuove famiglie importanti di Forlì, ma anche agli ambasciatori stranieri presenti in città, oratore milanese compreso.

Per far ciò, però, aveva avuto bisogno, a un paio di giorni dal banchetto, di istruire alcuni dei propri figli su cosa fosse meglio dire o non dire in presenza di quei personaggi.

Come sempre, trovava abbastanza difficile relazionarsi con loro a quattr'occhi, ma si era resa conto della necessità di parlare almeno con i tre più grandi, dato che, verosimilmente, sarebbero stati quelli più bersagliati da eventuali domande scomode.

Così, decidendo di partire nel modo più indolore, quella mattina aveva preso da parte sua figlia Bianca e le aveva detto che se qualcuno avesse osato farle domande spinose a riguardo di Faenza, o Astorre Manfredi o Niccolò Castagnino, lei avrebbe semplicemente dovuto rispondere che tutto procedeva come sempre e che se lei ancora viveva sotto il tetto di sua madre, era solo perché suo marito era ancora troppo giovane.

Se poi qualcuno avesse alzato il tiro, provando a domandarle quale fosse la posizione dei Manfredi o dei Riario riguardo Venezia e Firenze, allora Bianca avrebbe dovuto semplicemente dire che, essendo una donna, di certe cose non si intendeva e quindi preferiva non pronunciarsi.

La ragazzina aveva compreso che quel commento si sarebbe rivelato necessario e molto utile, tuttavia accettò quelle condizioni con una punta di malcelata insofferenza.

Dopodiché la Contessa aveva dato ordine alle balie e anche al castellano di tenere sott'occhio Bernardino, nel corso della cena.

Aveva deciso di farlo partecipare assieme a tutti i suoi fratelli, mostrandolo apertamente come uno dei suoi figli, però non si sentiva troppo tranquilla.

Anche se gli invitati sarebbero stati tutti uomini e donne che in un certo senso l'avevano aiutata a punire i colpevoli della morte di Giacomo, poteva sempre nascondersi tra loro qualche traditore.

Dopo qualche esitazione, cercò anche Cesare, trovandolo per caso proprio mentre stava per uscire per andare in Duomo a pregare.

Gli chiese di cercare di essere amichevole con gli ospiti e di evitare certi commenti sprezzanti.

"Il Santo Natale dovrebbe essere un momento di raccoglimento e preghiera, non un pretesto per tessere i vostri intrighi politici." la redarguì il ragazzo, serio e pallido in volto.

Tanto quanto Ottaviano stava pian piano prendendo peso, così Cesare sembrava perderne a vista d'occhio. Caterina aveva saputo per vie traverse che il suo secondo figlio spesso digiunava e rifiutava il cibo, per espiare le sue colpe.

Se i suoi peccati fossero stati altri, la donna l'avrebbe spronato a evitare una simile punizione, ma dato che sulla sua coscienza c'era la morte di Giacomo, la Tigre aveva ben pensato di fingere di non vedere gli zigomi sporgenti e le braccia secche di suo figlio e aveva fatto orecchie da mercante alle parole accorate dei precettori di Cesare.

Saltare qualche cena e qualche pranzo non era poi molto, rispetto alla vita di un uomo.

"Di certo hai ragione – ribatté la Contessa – ma siccome i figli devono, per legge divina, ubbidire ai genitori, tu farai comunque quello che ti dico io."

Cesare allora chinò il capo, mettendo in mostra la tonsura, tenuta sempre più larga e decentrata, e se ne andò, scalciando l'aria.

Caterina soffiò, come sempre abbastanza provata dall'incontro tanto ravvicinato con il suo secondogenito, e si adoperò a trovare Ottaviano.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Where stories live. Discover now