Cap376:Chi non ha ottenuto la fiducia del sovrano, non agisce come suo generale

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"Un dispaccio urgente dal confine!" urlò un messo, stando dietro alla pesante porta della stanza di Pandolfo Malatesta.

Il ventiduenne si svegliò di malavoglia, accecato dalla luce del sole freddo di ottobre che entrava dalla finestra, le cui pesanti tende erano rimaste tirate dalla sera prima.

Doveva essere almeno mezzogiorno, ma il signore di Rimini aveva ancora sonno e sentire di nuovo il vocione alla porta gridare: "Aprite! È cosa di massima urgenza!" gli faceva solo venire un gran mal di testa.

Accanto a lui, avviluppata nelle coperte, stava Violante che, lo sguardo preoccupato, fissava l'uscio senza avere il coraggio di esprimere la propria idea.

Quando il messaggero cominciò a battere il pugno sul legno, il Pandolfaccio decise che era tempo di rispondere e sbottò: "Un momento!"

Si tirò su dal letto con difficoltà, la testa ancora molto pesante per tutto il vino bevuto durante la notte. Sentendosi ancora troppo confuso per riuscire a infilarsi in fretta le brache, afferrò con stizza una delle coperte e se la mise addosso, come un lungo mantello, che lo coprisse dal collo alle caviglie, per proteggerlo tanto dal freddo, quanto da occhi indiscreti.

Quando finalmente andò ad aprire la porta, il messo allungò subito una mano, mostrandogli un dispaccio e poi, lanciando appena un'occhiata a Violante, che se ne stava ancora a letto, ben coperta e attenta, annunciò: "La Sforza ha aggredito i confini del nostro Stato."

Il Malatesta, a quel punto, strinse le palpebre, quasi rifiutandosi di capire. Si grattò la testa, scompigliandosi i lunghi e unti capelli neri, e poi aprì il messaggio che, di certo, riportava in modo chiaro e ordinato i fatti annunciati da quell'uomo.

Siccome, invece, sulla lettera restava solo l'invocazione di un Capo Villaggio vicino al paese attaccato, che chiedeva il pronto intervento di Rimini nella difesa dei suoi sudditi, Pandolfo, guardò il messo interrogativo e chiese: "Che cosa è successo, di preciso?"

Quello, che si era preparato a una simile domanda, rispose con prontezza: "I soldati della Sforza, mostrando il suo stemma e urlando il suo nome, hanno saccheggiato e distrutto un villaggio e poi hanno proseguito verso quello vicino."

Il Malatesta apparve subito abbastanza stupito. Alzando una mano, per chiedere un momento, si tolse la coperta di dosso, improvvisamente insensibile ai pudori che l'avevano convinto a mettersela poco prima, e cominciò lentamente a vestirsi.

Il messo guardò altrove per tutto il tempo, ma quando si accorse che il suo signore aveva finito tornò a rivolgerglisi: "Che cosa dobbiamo fare?"

"Spiegatemi che intendete con saccheggiato." fece Pandolfo, prima di esprimersi in un senso o nell'altro.

"Ha fatto uccidere tutti gli uomini, ha lasciato che infierissero sulle donne, ha preso ogni cosa, soprattutto il cibo, e poi ha dato fuoco alle case." spiegò il messaggero.

Il Malatesta respirò rumorosamente. Alle sue spalle, tesa, Violante aspettava di sentire cosa avrebbe deciso. Fosse stato per lei, avrebbe subito scritto a Venezia. Tanto, lo Stato l'avevano già svenduto al Doge, tanto valeva pretendere la protezione che era stata loro promessa.

"Per ora non facciamo nulla." disse alla fine il signore di Rimini, massaggiandosi le tempie che pulsavano.

Quello era stato di certo un pessimo risveglio. Quanto avrebbe voluto potersene tornare a dormire beato, invece di dover subito archiviare la notte passata per far fronte a una pessima giornata.

"Nulla, mia signore..?" fece il messo, attonito.

"Nulla. Aspettiamo e basta." concluse il Pandolfaccio, occhieggiando malevolo verso l'altro e congedandolo in fretta con un: "Adesso andatevene. Le mie decisioni non sono affar vostro."

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora