Capitolo 357: L'Amor, che m'è guerrero ed enemico...

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Rodrigo Borja aveva il suo bel da fare a cercare di non perdere le staffe. Sorrideva, ma sotto al tavolone di legno laccato d'oro, la sua mano si apriva e si chiudeva ritmicamente attorno alla stoffa dell'abito papale, mentre continuava a rassicurare il suo interlocutore.

Il quarantaduenne Ascanio Sforza, che dalla partenza del parente alla volta di Pesaro era teso ancor più dell'ambasciatore milanese in Vaticano, ascoltava le parole del papa, dette con un tono quasi allegro, ma più Sua Santità si sforzava di sembrare rilassato, più il Cardinale si faceva inquieto.

In tutta Roma non si parlava d'altro della fuga improvvisa di Lucrecia Borja, che si era rintanata in convento assieme a tutto il suo seguito. Certi dicevano che stesse scappando dal padre o dai fratelli, altri sostenevano che volesse farsi monaca, altri ancora avevano osato vociferare che stesse aspettando un contingente armato del marito, che l'avrebbe scortata fino alla dimora di Giovanni Sforza di nascosto da Alessandro VI.

"San Sisto – riprese Rodrigo, aggiungendo perfino una breve risata – è un luogo religioso e onestissimo e mia figlia ha preferito recarsi lì, sua mia personale indicazione, nell'attesa che il vostro parente si decida..."

Il Cardinale sollevò gli occhi scuri verso il pontefice e si sentì in dovere di chiedere: "Decidersi?"

"Sapete che il suo frettoloso rientro a Pesaro ha delle motivazioni molto gravi..." cominciò a dire il papa, scrutando l'altro con attenzione, al fine di capire quanto ne sapesse più di lui: "Dunque è chiaro che il vostro parente stia rivalutando la sua posizione in questa famiglia..."

Ascanio sentì la pancia ribollire, sintomo della paura che sempre quel genere di insinuazioni gli metteva addosso. Muovendosi a disagio sulla sedia, fece solo un breve cenno del capo e non si sbilanciò con commenti che avrebbero potuto essere pericolosi.

Dopo ancora qualche chiacchiera vuota del Borja, lo Sforza chiese il permesso di congedarsi e quando Rodrigo glielo concesse, per Ascanio fu un autentico sollievo poter lasciare il salone.

Rimasto solo, anche Alessandro VI si permise di tirare il fiato, facendo sparire all'istante il sorriso stupido che si era stampato in volto a beneficio di quell'intrigante del Cardinale Sforza.

Si tolse la papalina con un gesto secco e poi si mise a fissare il soffitto, assorto. Sua figlia gli aveva tirato un bel colpo basso. Poteva fare tutte le recite che voleva, ma nemmeno lui sapeva cosa avesse in mente di fare Lucrecia e la cosa lo atterriva.

Dopo un lungo momento di esitazione, Rodrigo andò a chiamare un servo e gli chiese di andare a cercare suo figlio Cesare.

Se Lucrecia era scappata a quel modo, significava per forza o che qualcuno le aveva fatto paura, o che qualcuno le aveva fatto facili promesse. Per come la vedeva lui, in entrambi i casi l'unico colpevole poteva essere solo uno.


 "Come faceva nostra sorella a sapere che nostro padre ha mandato a Pesaro quella mummia di frate Mariano?" chiese Cesare, aggressivo, dando una piccola spinta alla spalla di Juan.

Questi, che si era appena svegliato, lo guardava frastornato: "Ma di che stai..?"

"Lo sapevamo solo noi e i segretari di nostro padre." insistette il prelato, fissando in cagnesco il fratello, che affettava uno sbadiglio.

"E perché avrei dovuto dirglielo, secondo te?" fece Juan, grattandosi un po' la cicatrice sulla guancia e aggirando Cesare per raggiungere la sua cassapanca.

Di norma aveva qualche valletto ad aiutarlo e almeno un coppiere a versargli un po' di vino per sostenerlo nel risveglio, ma vista la presenta del fratello, il figlio prediletto del papa preferiva fare da sé, quella mattina.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Where stories live. Discover now