Capitolo 403: Invece di maledire il buio è meglio accendere una candela

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Caterina era seduta in una delle poltrone della sala delle letture, l'unghia del pollice tra i denti e lo sguardo fisso verso la finestra.

Le dita dell'altra mano battevano ritmiche contro il bracciolo imbottito, fermandosi solo di quando in quando, di pari passo con l'interruzione repentina del filo logico che la Tigre stava cercando di seguire.

Aveva scritto a Fracassa, per la seconda volta, ma la risposta non le era piaciuta. Anche se con suo zio non aveva trovato campo d'intendimento comune, aveva sperato che almeno con Gaspare Sanseverino ci sarebbe riuscita. In fondo parlavano la stessa lingua. Fracassa la rispettava, ritenendola alla pari di un commilitone e altrettanto faceva la Sforza con lui.

Il condottiero le aveva detto di essere diretto in Toscana con cinquecento cavalli. Caterina gli aveva domandato di potersi coordinare, una volta che Ottaviano fosse giunto in quel di Pisa.

La risposta dell'uomo del Duca era stata tanto evasiva e vaga da far capire alla Leonessa che non sarebbe mai riuscita a farlo accettare.

"Ti ho trovata, finalmente..." fece Giovanni, con un mezzo sbuffo, aprendo la porta senza bussare.

La donna sollevò gli occhi sul marito e lo guardò interrogativa. Il Medici aveva i riccioli un po' spettinati, portava solo il camicione da lavoro e le brache di cuoio, quelle spesse, ormai scelte più per celare un po' la strana postura delle sue gambe che non per proteggersi dal freddo.

Alle mani, Caterina lo notò con un piccolo dolore, portava i guanti che gli aveva fatto Bianca. Era chiaro che li avesse indossati solo per non mettere troppo in mostra le mani, di cui cominciava a vergognarsi.

Quella mattina aveva incontrato alcuni mercanti, per contrattare delle compravendite di cibo da mettere nelle scorte del castello, e così doveva aver indossato i guanti in vista di quell'appuntamento, per poi dimenticarsi o evitare di toglierli benché fosse già pomeriggio e facesse un gran caldo.

"Perché mi cercavi?" chiese la Contessa, raddrizzandosi un po' contro lo schienale.

Il Medici si morse le labbra carnose e poi, dopo aver fatto vagare per qualche istante le iridi chiarissime sulla figura della moglie – la cui bellezza prorompente non smetteva mai di stupire e attrarre il fiorentino – soffiò: "Il cadavere appeso alla merlatura... Per favore, fallo togliere da lì. È stato esposto abbastanza, non credi?"

Il viso di Caterina si contrasse in un'espressione fredda: "Perché vuoi che lo tolga?"

Giovanni non avrebbe voluto spifferare il vero motivo che lo aveva portato a cercare la moglie per farle una simile richiesta, tuttavia pensò che sarebbe stata la via più rapida e indolore: "Bernardino ne è terrorizzato."

Sorpresa da una simile affermazione, la Sforza si alzò e si avvicinò al marito: "Bernardino ne è terrorizzato?" chiese, come a domandare se avesse capito bene.

"L'ho trovato che piangeva in un angolo della dispensa, quando sono tornato alla rocca e..." il Popolano alzò le spalle e allargò un po' le braccia: "Mi ha detto che era fuori a giocare con dei suoi amici. Tornando, ha guardato la statua di suo padre e l'occhio si è spinto oltre e ha visto quel corpo appeso alle merlature..."

La Leonessa incrinò le labbra, pensando che in effetti doveva essere una brutta vista, specie per un bambino come Bernardino.

"E mi ha detto – aggiunse Giovanni, senza riuscire a trattenersi – che i bambini che erano con lui gli hanno detto che sei stata tu a ridurre quel poveraccio così. Ed è allora che s'è spaventato davvero."

Caterina deglutì ripensando al viso sfatto e agli arti spezzati e disarticolati dell'uomo che aveva fatto impiccare alla merlature e così trovò appena la voce per dire: "Lo toglierò di lì appena farà buio."

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora