Capitolo 432: Ordini

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Giovan Francesco Sanseverino si guardò attorno un po' spaesato, mentre lui e gli altri raggiungevano il palazzo Riario. La struttura si ergeva sulla piazza principale della città, ma non aveva nulla a che vedere con gli edifici del potere a cui era abituato.

Per metà reso al suolo e per l'altra metà dall'aspetto negletto e quasi abbandonato, sembrava più un relitto che non un luogo di potere.

"Ma siete sicuri che ci riceverà?" chiese al fratello Gaspare e a Giovanni da Casale.

La notizia della morte del Medici nottetempo si era diffusa anche presso di loro e pure il Sanseverino Conte di Caiazzo, benché fosse arrivato da poche ore, l'aveva saputo.

Anche se ufficialmente la Contessa non era legata al fiorentino, tutti sapevano o quanto meno avevano capito quanto in realtà gli fosse vicina e il fatto che il suo figlio più piccolo fosse proprio del fiorentino era di dominio pubblico.

"È stata lei a farci chiamare." disse Giovanni da Casale, con una certa serietà: "Se l'ha fatto, vuol dire che si presenterà."

"Lo credo anche io." concordò Fracassa, mentre arrivavano al portone d'ingresso del palazzo: "Si può dire molto, di quella donna, ma non che non sia di parola."

Giovan Francesco sollevò il sopracciglio e, storcendo un po' di lato la mandibola squadrata sollevò una spalla e concesse: "Se voi vi fidate... Vi ricordo che l'ultima volta che ha perso l'uomo che amava questa città è diventata un cimitero."

L'altro Sanseverino non disse nulla, ma Pirovano si trovò in dovere di specificare: "Credo che la situazione sia molto diversa, questa volta."

Tacendosi poi tutti e tre, attraversarono l'ingresso, dopo aver avuto il permesso da parte delle guardie, e vennero portati fino alla sala consiliare.

"La Contessa arriverà il prima possibile." disse Luffo Numai, l'unico, a parte il cancelliere Cardella, presente.

I tre soldati si scambiarono un'occhiata, ma nulla di più, e si misero seduti, in paziente attesa di quella che il Moro aveva arbitrariamente voluto come loro comandante.


"No, non voglio l'abito a lutto." disse Caterina, guardando di sottecchi il vestito che sua figlia Bianca le aveva proposto.

Quella mattina il risveglio per la Tigre era stato tutt'altro che facile. Aveva affrontato una penosa colazione durante la quale aveva incontrato quasi tutti i suoi Capitani e anche i suoi figli, e tutti, chi più chi meno, le aveva ricordato quanto appena accaduto, seppur nella buona intenzione di offrirle sostegno e mostrare sentite condoglianze.

"Come preferite..." sussurrò la Riario, che invece aveva indossato un abito scuro e aveva raccolto i capelli biondi in una reticella nera.

"Non lo faccio per mancanza di rispetto... Solo..." riprese la madre, che, seduta sul letto, aveva un atteggiamento simile a un bambino schivo che rifiutava le cure della propria balia.

"Non mi dovete spiegare nulla." le fece notare Bianca.

"È solo che..." si sentì invece in dovere di dire la donna: "Devo mostrarmi forte. C'è una guerra. E farmi vedere prostrata dal lutto non..."

"Era solo un abito scuro..." tagliò corto Bianca, rimettendo via il vestito e prendendo quello rosso e scollato, quasi per provocare la madre.

Questa, invece, trovò la scelta adatta e chiese alla figlia di aiutarla a vestirsi e a metterle i gioielli.

La ragazza fece quello che le veniva detto, rendendosi conto di quanto la Leonessa fosse in realtà stanca e distrutta, nonostante volesse mostrarsi tenace e irriducibile come sempre.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora