Capitolo 442: Non fuit in solo Roma peracta die.

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"E dunque, si può sapere che avete da dirmi?" chiese Caterina, arrivando alla presenza dell'ambasciatore di Firenze, che l'attendeva al palazzo dei Riario.

Andrea Pazzi ci mise qualche istante di troppo, prima di rispondere, perché vedere la Contessa in quello stato – tanto iraconda da avere perfino i lineamenti del viso, altrimenti bellissimi e lineari, alterati – lo aveva destabilizzato parecchio e questo ritardo portò la donna a uno scatto di rabbia.

"Parlate! Parlate, prima che vi faccia tagliare la testa e la infili su una picca!" sbottò la Tigre, fissando il diplomatico che, deglutendo a fatica, balbettò qualche parola.

Dopo un minuto abbondante, l'uomo riuscì finalmente a dire: "Vedete, Contessa, sono qui per discutere con voi di due importanti questioni di cui la Signoria mi ha chiesto di parlarvi."

"Lasciate perdere i giri di parole e parlate chiaro, per Dio." tagliò corto la Sforza, che, in quel momento, era tanto arrabbiata con Firenze che non avrebbe sofferto più di tanto nel saperla rasa al suolo dagli stradiotti del Doge.

Pazzi deglutì un paio di volte e poi, sistemandosi con un colpo secco il giubbetto, riprese: "Prima di tutto, Contessa, Firenze vi chiede l'arruolamento dei soldati che vi aveva chiesto, e anche di altri, in dimostrazione della vostra buona volontà nei confronti della Signoria."

"Volete altri soldati delle mie terre?" chiese Caterina distogliendo lo sguardo dall'ambasciatore e andando alla finestra, dandogli le spalle: "Datemi altri duemila ducati, e io li trovo."

"La vostra richiesta non piacerà alla Signoria." l'avvertì Andrea, che cominciava a essere teso.

Non gli piaceva affatto il tono perentorio con cui la Tigre gli stava parlando, e temeva che anche quel suo atteggiamento, quel mettersi a guardare fuori, quasi che non le interessasse quello che si stava discutendo, secondo lui nascondevano qualcosa. Era come trovarsi davvero dinnanzi una belva feroce. Quella donna stava facendo finta di non dargli importanza solo per indurlo ad abbassare le difese, in modo da poter sferrare l'attacco finale.

"Sapete quanto me ne importa, di far piacere alla Signoria." sussurrò la Sforza, sempre senza guardarlo: "Senza contare – aggiunse, a voce appena più alta, sperando che il fiorentino non si rendesse conto in fretta della falsità della sua dichiarazione – che l'ultima leva di massa, quella forzosa, l'ho fatta proprio per compiacere la vostra dannata Repubblica."

La Contessa si passò con forza una mano sulla fronte. Se non fosse stato per Giovanni e per la sicurezza che aveva cercato di dare a lei e ai suoi figli, la Leonessa in quel momento si sarebbe sentita pronta a schierarsi contro Firenze e contro Venezia, e pure contro Milano. Era stufa marcia di sentirsi tirare le sottane da questo e da quello, tutti che la cercavano solo per paura di averla contro e con la speranza di poterla sfruttare.

Fece un respiro profondo e poi, voltandosi di nuovo verso Pazzi, chiese: "E a parte questa pretesa, che altro vuole Firenze da me?"

"La seconda questione – disse subito Pazzi, mentre la stoffa della camicia gli si incollava alla schiena, per il sudore freddo – è la vostra astensione dall'avanzare pretese su Marradi e Castiglione."

Caterina puntò gli occhi verdi in quelli un po' spauriti dell'ambasciatore e poi, sorprendendolo, fece una risata un po' amara: "Non perdete tempo, vero? Appena saputa della vittoria, avete avuto l'ordine di riferirmi questa decisione della Signoria. Quella rocca e quella via sono libere grazie ai miei uomini!"

"Mi spiace contraddirvi." fece Pazzi, raddrizzando appena le spalle, facendosi forte dei fatti: "Ma sia il paese, sia la rocca sono stati liberati grazie a Ranuccio da Marciano, non ai vostri uomini."

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora