Capitolo 378: Absit iniuria verbis

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"Aspetta, che metto un po' di legna nel camino..." fece Caterina, muovendosi per alzarsi dal letto, ma Giovanni la fermò.

"Aspetta, resta qui un po'... Non fa neanche tanto freddo..." le disse, convincendola a rimanere accanto a lui.

"Non dovresti prendere freddo. Copriti, almeno. Sei tutto sudato..." ribatté la Sforza, guardando nella penombra il marito la cui pelle, in effetti, era madida di sudore.

"Ho sudato così tanto solo perché sono ancora debole." sussurrò il Medici, per chiudere in fretta la questione: "Per il resto sto bene, anzi, benissimo."

La Contessa sorrise, allungando una mano per sfiorare il petto dell'uomo, che saliva e scendeva lentamente, assieme all'addome. Lo accarezzò, sentendo il suo leggero brivido. Per quanto potesse negare, era chiaro che Giovanni cominciasse ad avere freddo.

Mettendosi contro lui, sia per scaldarlo, sia per sentirlo di nuovo addosso come una seconda pelle, Caterina gli disse: "Mi mancavi."

"Io sono sempre stato qui." fece notare il Popolano, deglutendo in silenzio, un po' in difficoltà.

"Hai capito che intendo." disse la Contessa.

"Anche a me mancavi. Moltissimo." fece eco Giovanni, decidendo che fingere di non capire lo avrebbe solo messo ancor più in imbarazzo.

"Ero quasi sul punto di non resistere più." confessò la Leonessa, il respiro un po' spezzato sul collo del marito.

Il Medici si morse le labbra due volte, prima di riuscire a chiedere: "E se quel punto fosse arrivato?"

"Ma non è arrivato, quindi non c'è neanche da parlarne." minimizzò Caterina, già pentita di aver sollevato la questione.

Giovanni prese una ciocca dei capelli della moglie tra le dita e, mentre ne saggiava la morbidezza, s'impuntò: "No, voglio saperlo. Se fossi arrivata al punto di non resistere più, e io non fossi stato in grado di... Soddisfare i tuoi bisogni, diciamo... Tu che avresti fatto?"

La Tigre restò in silenzio per un lunghissimo minuto, durante il quale il Medici riprese a sudare, ma in modo decisamente spiacevole, questa volta.

Alla fine, staccandosi di colpo da lui e, dopo essersi infilata la vestaglia, la Sforza andò al camino e, cominciando a trafficare con la legna e i ferri, dichiarò: "Non lo so."

"Mi avresti tradito?" chiese il Popolano, cedendo finalmente al freddo e coprendosi fino alla gola, gli occhi che seguivano le forme generose della moglie.

"No..." rispose dopo ancora qualche istante Caterina: "Non avrei potuto. Però magari avrei fatto qualche altra sciocchezza. Io, però, non ti tradirei mai."

"Almeno finché sono vivo." precisò il fiorentino, con una spina di amarezza.

A quello, volendo essere del tutto onesta con Giovanni, la Contessa preferì non rispondere.

Nella speranza di risollevare un po' il morale dell'uomo che amava, la Sforza si lasciò scivolare via la vestaglia e si rimise a letto, sotto le coperte con lui. Cercò la sua mano, indagando con un velo di tristezza il piccolo gonfiore che non era più scomparso dopo la sua ultima crisi e poi, con dolcezza, se l'appoggiò sul ventre, premendo un po'.

"Lo senti?" chiese.

Il toscano delimitò con le lunghe dita la piccola protuberanza che denunciava la presenza di una nuova vita e soffiò: "Sì..."

"Sai, i miei genitori avevano quattro anni di differenza, come noi." iniziò a raccontare la donna, tenendo la mano del marito stretta nella sua: "Mia madre, quando sono nata, aveva ventritré anni, e mio padre diciannove."

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Where stories live. Discover now