Capitolo 386: Fame

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"Silenzio! Silenzio! State zitti, bifolchi!" ululò il Gonfaloniere di Giustizia, picchiando tanto forte il suo martello che si sarebbe potuto temere di vederlo rompersi in mille pezzi.

Come spesso accadeva in quei giorni, la riunione della Signoria si stava trasformando in una rissa e Lorenzo Medici era tra i più accesi contestatori del giorno.

Tutto era partito dalla lettura della richiesta, scritta da Giovanni Medici, in merito a un'alleanza con lo Stato di Imola e Forlì. La richiesta era abbastanza semplice e pareva pure vantaggiosa, per Firenze, ma il fatto che fossero coinvolti i Medici – ormai poco importava se si trattava del Fatuo, di un Popolano, o di qualsiasi altro ramo della famiglia – aveva aizzato l'ala piagnona della Signoria contro i palleschi, creando una confusione pari solo a quella dei giorni di mercato.

"La Sforza vuole Firenze solo per coprirsi le spalle!" gridò uno: "Ci vuole usare e poi darci in pasto al Moro!"

"Imbecilli!" ribatté Lorenzo, gettando in terra la berretta, in segno di rabbia: "Forlì ci serve! Che credete? Che Venezia non abbia già fatto le sue offerte? Dobbiamo ritenerci grati se..."

"Grati se una pazza ci chiede del denaro per mettere in mostra quell'inetto del figlio?!" lo schernì un altro Piagnone.

"State zitto, voi!" andò in soccorso un sostenitore dei Medici: "Che di guerra ne capite come vostra moglie di uomini!"

"Solo perché vostro fratello – gridò con malignità un oppositore di Lorenzo, indicandolo con scherno a mano aperta – è stato così fesso da mettere un figlio in pancia a quella sgualdrina della Sforza, non significa che tutti noi si debba sottostare ai capricci di quella belva!"

Trattenuto a stento da alcuni dei suoi, il Popolano, che fino a quel momento era stato tra i più ardimentosi, parve spegnersi.

"Cosa..?" soffiò, sbattendo le palpebre incredulo.

Quello che aveva urlato prima, risse sguaiatamente, cercando sostegno presso gli altri savonaroliani e lo derise: "Volete dirci che il vostro caro fratellino nemmeno ve l'ha detto? E potremmo noi fidarci, se nemmeno voi potete, di uno come Giovanni Medici?!"

La riunione si concluse dopo oltre un'ora, ma per Lorenzo, era finita dopo quell'accusa. Era scivolato via della folla e aveva lasciato il palazzo della Signoria, tornandosene a casa con la coda tra le gambe.

Appena arrivò al palazzo, si recò subito nella sua stanza e lì restò fino a sera inoltrata, senza voler vedere nessuno.

Preoccupata, visto che non era sceso nemmeno per cena e che non aveva voluto vedere i figli, Semiramide, prima di ritirarsi per la notte, provò a bussare.

Non ricevette risposta, ma entrò comunque.

Trovò il marito ancora vestito come quel giorno, seduto a letto, le mani in grembo e lo sguardo vitreo. La stanza era al buio. Non aveva nemmeno acceso una candela.

La donna rimediò in fretta e poi, apprensiva, si andò a mettere accanto a lui, accarezzandogli premurosa la tempia: "Che cos'è successo? Ho sentito che alla Signoria c'è stata agitazione... Sei ferito?" domandò, colta da quell'improvvisa paura.

Il Medici scosse piano il capo e poi, lentamente, sollevò gli occhi tondi verso la moglie e chiese, la voce arrochita dal lungo silenzio: "Tu lo sapevi che mio fratello e quell'assassina della Sforza aspettano un figlio?"

L'Appiani schiuse appena le labbra per la sorpresa, e tanto bastò al marito per capire.

"Non l'ha detto nemmeno a te." strinse le labbra con forza, poi gli occhi e infine i pugni.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Where stories live. Discover now