Capitolo 327: Militat omnis amans, et habet sua castra Cupido.

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 La Messa di Natale in Duomo venne disertata in massa dalla Contessa e anche dai suoi invitati, che preferirono assistere alla cerimonia in San Girolamo come la loro signora.

"Cercate di sbrigarvi – aveva detto la donna al prete, prima che desse inizio alle celebrazioni, raggiungendolo a sorpresa mentre si stava mettendo i paramenti – evitate canti troppo lunghi e quando potete accorciate il rito. Con il freddo che fa, non voglio rischiare che qualcuno si ammali per sentire voi cantare in un latino orribile."

Desideroso di assecondare in tutto e per tutto le richieste della Tigre, il religioso aveva fatto esattamente quello che gli era stato chiesto e così il piccolo gruppo di nobili e notabili si era liberato molto prima dei fedeli che avevano optato per altre chiese.

A Messa finita, Caterina aveva lasciato che gli altri la precedessero e si era presa un momento di solitudine per andare nella cappella dei Feo, davanti alla tomba di Giacomo. Aveva appoggiato la mano sulla fredda pietra in cui era stato scolpito il nome del suo secondo, amatissimo marito, e poi, con un sospiro dolente, era uscita nel gelo della sera e aveva raggiunto Ravaldino come tutti gli altri.

Una volta alla rocca, il banchetto era cominciato subito in gran velocità, come se tutti avessero fretta di togliersi dalle spalle il sentore greve dei riti religiosi e dell'odore dell'incenso. Dopo i primi calici di vino, l'aria si era già riscaldata abbastanza da dimenticare le nuvolette di vapore che in chiesa erano uscite dai nasi e dalle bocche congelate di tutti quanti.

Al tavolo d'onore sedeva solo la famiglia dei Riario – Caterina nel mezzo, e tre figli per parte – e tutti gli altri, questa volta anche persone della risma di Luffo Numai, del castellano Feo o dell'ambasciatore fiorentino, erano stati relegati ad altri tavoli.

Caterina aveva un preciso intento, con quel banchetto. Voleva dimostrare anche ai più scettici che la sua famiglia era ancora unita, malgrado tutto, e che nessuno straniero aveva il suo favore più di un altro.

Per tutta la cena, Ottaviano non fece che occhieggiare malevolo verso Bernardino, seduto accanto a Sforzino, alla sua destra. Non osava criticarlo apertamente, né incitare Sforzino a farlo al posto suo, ma le sue pupille scure continuavano a correre a quel bambino che gli ricordava anche troppo quello che era successo poco più di un anno prima.

Quando il piccolo rovesciò il bicchiere che condivideva con il fratello, in modo tanto maldestro da far arrivare qualche goccia d'acqua anche al primogenito della Contessa, questi ebbe un moto di stizza e aprì la bocca, forse per sgridare in modo particolarmente duro Bernardino.

Caterina, che stava mangiando in silenzio da molto tempo, Bianca da una parte e Ottaviano dall'altra, gli appoggiò perentoria una mano sull'avambraccio e gli sussurrò, appena udibile sopra al chiacchiericcio ridanciano degli invitati: "Non provarci neanche."

Il giovane Conte così sbollì all'istante e, come ormai faceva spesso, riversò il suo astio sul cibo, divorando tutto quello che gli veniva messo davanti senza nemmeno far caso a cosa fosse.

Per tutto il tempo, Giovanni lanciò occhiate al tavolo della famiglia Riario, chiedendosi se per i presenti quella farsa sarebbe servita. Dai commenti che sentiva fare da alcuni notabili della città che aveva accanto, pareva di sì.

Mettersi così in mostra, schierati in fila davanti agli ospiti, aveva fatto sì che la Contessa e i suoi figli venissero rimirati come un quadro da tutti i presenti, distraendoli da qualunque altro discorso.

Tra una risata e una battuta grassa, i forlivesi che lo attorniavano commentavano i vestiti nuovissimi del Conte Ottaviano e anche i gioielli che stavano al collo e ai polsi della Contessa, ricordando come fossero anni che non ne indossava.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Where stories live. Discover now