Capitolo 311: Panem et circenses

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Achille Tiberti si stava tormentando le mani l'una con l'altra, in attesa che la Contessa uscisse dallo studiolo del castellano per poterle parlare.

Il momento imponeva una notevole urgenza, ma egli era un bravo soldato e un servo rispettoso e quindi non avrebbe per nessun motivo arrecato disturbo alla sua signora, soprattutto sapendo che quello che stava discutendo con il castellano Feo era di massima importanza.

Dalle poche parole, infatti, che era uscite dalla porta chiusa, Achille aveva capito che stavano discutendo delle scorte di sale che il loro Magistrato stava cercando in Schiavonia.

Sembrava che le cose si stessero mettendo bene, ma qualche frase spezzata prima dell'uno e poi dell'altra aveva lasciato intendere al Capitano che il momento fosse ancora molto delicato e che di certo un'interruzione non sarebbe stata apprezzata.

Quando infine la Tigre ebbe chiuso il suo incontro privato con Cesare Feo, Tiberti accolse con trepidazione il rumore della porta che si apriva e, senza darle neppure il tempo di essere del tutto fuori dallo studiolo, le andò incontro: "Mia signora..." cominciò a dire, mentre la lingua si impastava un po' per l'agitazione.

Caterina lo squadrò un istante e comprese subito che qualcosa non andava. Il volto dell'uomo era pallido e sudato e i suoi occhi, di norma sicuri e fermi, erano sfuggenti e febbrili. In più teneva le mani l'una stretta nell'altra, in una posa d'incertezza che non gli aveva mai visto assumere da che lo conosceva.

"Parlate, che cosa è successo?" chiese la donna, corrucciandosi.

"Si tratta di mio fratello Palmerio..." iniziò Tiberti, facendosi ancor meno sicuro.

La Contessa gli lanciò uno sguardo fulminante. Conosceva bene la fama del fratello di Achille Tiberti. Benché non avesse mai avuto grossi problemi per colpa sua, preferiva tenerselo alla larga e non avere nulla a che fare coi suoi affari.

Ricordava molto bene come fosse stato tra quelli che avevano fatto pressioni in Bertinoro, pochi mesi addietro. Non era stato nulla di grave, ma era chiaro come avesse cercato di approfittare della rapida riconquista dei veneziani per averne un suo tornaconto e magari osare anche di più, andando a lambire le terre ancora in possesso dello stato degli Sforza Riario.

La Leonessa, però, in quel caso aveva deliberatamente deciso di non farne una colpa ad Achille, che, per altro, era riuscito a distogliere il fratello dal piano di attaccare lo Stato della Sforza al soldo di Cesena.

Tiberti era un uomo di valore, un Capitano coraggioso e capace, e allontanarlo solo perché il fratello era un soldato di ventura che, per di più, aveva un piccolo appannaggio per conto dei Manfredi sarebbe stato da sciocchi.

"Che cosa gli è successo?" domandò la Tigre, con apparente distacco, grattandosi distrattamente un sopracciglio.

L'uomo, dopo aver visto Cesare Feo uscire dallo studiolo con un plico di fogli sotto al braccio, guardò sulla difensiva la Contessa e spiegò: "Lui e i suoi sono in grossa difficoltà, in questo momento, sapete... Mi ha scritto per dirmi che sono stati attaccati dagli uomini dei Martinelli a Civitella..."

"Quella città è nel territorio dei Manfredi, non è di mia competenza." fece subito Caterina, sorprendendosi al pensiero che Tiberti potesse chiederle di intervenire in una guerricciola privata tra signorotti che valevano meno di zero: "Casomai dovreste rivolgervi a Niccolò Castagnino e chiedere a lui di intervenire."

"Non vi sto chiedendo uomini, né armi, se è questo che avete pensato." ribatté Achille, ritrovando un po' del suo solito tono orgoglioso: "Vorrei solo chiedervi un permesso per qualche tempo. Vorrei poter raggiungere mio fratello. Da solo, senza soldati al seguito, davvero, non è necessario. Io combatterò al suo fianco e gli darò il mio supporto, ma è chiaro anche a lui che non potrò sostenerlo con una colonna ausiliaria. Non sono qui in cerca di alleati, solo del permesso di assentarmi da Forlì per qualche giorno."

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora