Capitolo 429: ...trascorre il tempo; io dormo sola.

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Come da accordi, quella mattina Caterina si preparò di buon'ora, si volle mettere vestiti comodi e indossarvi anche una leggera cotta di maglia sotto.

Malgrado tutto, si fidava abbastanza del Fracassa, ma seguirlo fuori città – anche se scortata da alcuni uomini a lei leali – non la faceva stare del tutto tranquilla. Per come conosceva suo zio, poteva trattarsi anche di un'imboscata.

Aveva voluto dare un po' di importanza a Galeazzo, prima di lasciare Ravaldino. Quel figlio era, tra tutti, quello che lei riusciva a capire di più e non aveva cambiato idea circa il suo futuro: se fosse riuscita a preservare lo Stato abbastanza, avrebbe trovato il modo di lasciarlo a lui.

Così, con le redini già in mano, prima di montare in sella si era rivolta a lui che, assieme ad altri soldati, stava aspettando di vederla uscire dalla rocca, la Contessa si era rivolta al figlio e gli aveva detto: "Mi raccomando, Galeazzo. Ravaldino e la città sono sotto il tuo controllo, mentre sono via."

Il ragazzino aveva subito chinato il capo, nascondendo a stento l'orgoglio e la tensione che quell'incarico – per quanto abbastanza fittizio – gli avevano messo in corpo.

Contenta di vederlo così pronto, la donna diede le ultime indicazioni al castellano e al suo cancelliere e, con una certa discrezione, uscì dalla rocca, e poi dai confini cittadini assieme al Sanseverino e a qualche Capitano da lei scelto ad hoc per l'occasione.

Le truppe del comandante milanese erano stanziate poco lontano dai monti e, lungo il breve tragitto, la Sforza poté fare all'uomo tutte le domande che voleva. Chiese di preciso quanto soldati avesse al momento a disposizione e quanti pezzi di artiglieria.

Luffo Numai le aveva fatto presente che nella zona di Modigliana e di Castrocaro le truppe veneziane non perdevano occasione per infastidire i civili e che Ottaviano, con le sue squadre di cavalieri fatti tornare in fretta e furia da Pisa, non faceva altro che fingere di rincorrere le scorribande, trovandosi in realtà sempre a debita distanza dai tafferugli.

La Tigre era rimasta molto infastidita da quella notizia, anche perché Corradini – rimasto con le poche truppe disponibili al servizio di Paolo Vitelli – le aveva già scritto pregandola di inviare nuovi soldati, se non voleva ridurre a zero l'impatto forlivese sulla campagna, agli occhi della Signoria.

Così, si diceva Caterina, mentre ascoltava il preciso resoconto del Sanseverino, se davvero il Moro le lasciava diritto di decisione sulle mosse di quelle truppe, avrebbe potuto benissimo disimpegnare suo figlio e i cavalieri e utilizzare l'esercito di Milano per vigilare in modo efficiente sui confini.

"E presto – concluse il Fracassa, mentre arrivava sul limitare del campo – anche Giovanni da Casale arriverà qui e sarà al vostro servizio. Sta rientrando or ora dall'ascolano. Ha aiutato Fermo."

La donna annuì e poi, occhieggiando verso i soldati che, alla vista del loro comandante si stavano mettendo in riga, chiese: "E gli uomini di vostro fratello Giovan Francesco?"

Era stato Gaspare stesso a nominarli, dicendo che l'altro Sanseverino era ancora nel parmense, ma che, non appena lei avesse accettato quella proposta, sarebbe arrivato immediatamente in Romagna per darle aiuto.

"Trecentocinquanta armigeri." confermò il Fracassa, cominciando a passare in rassegna i suoi: "E saranno tutti al vostro completo servizio."

A quel punto la Leonessa lasciò che l'altro le mostrasse tutto quello che il campo poteva offrire e, mentre passavano in rassegna i soldati, la donna iniziò a fare due conti.

La mattina era a metà, quando Caterina si rese conto che forse sarebbe stato il caso di tornare alla rocca. Temeva come non mai che giungesse a Ravaldino qualche messaggio importante da parte di suo marito e anche se aveva lasciato detto di mandarla a cercare subito, in quel caso, non si sentiva tranquilla.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Where stories live. Discover now