Capitolo 388: Roma locuta, causa finita

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Machiavelli si schiacciò più che poté il ciuffo di riccioli sulla testa, ma la sua attenzione, in realtà, era così catturata da quello che si stava gridando alla Signoria da non rendersi nemmeno conto di quanto la sua manovra fosse stata inutile.

"Questo è un ordine del papa! Quel frate deve essere interdetto da ogni possibilità di tenere orazioni e prediche!" stava gridando Lorenzo Medici, indicando con l'indice il documento che il Gonfaloniere Valori aveva messo in bella mostra.

Proprio quest'ultimo, prendendo le parti del frate in modo plateale, come non faceva da mesi, si alzò dal pulpito e, richiamando i palleschi all'ordine, vociò: "Quella del papa è solo una misura cautelare!"

"Il papa dice chiaramente di mandargli Savonarola a Roma!" sbottò Lorenzo, divincolandosi dalla presa dei suoi e portandosi nel centro del salone, sotto agli occhi di tutti che, riconoscendo in lui un carisma che gli era mancato per molto tempo, si erano messi a tacere per ascoltarlo.

Anche Niccolò, che stava in mezzo alla folla di curiosi accorsi per assistere alla diatriba, quasi non fiatava.

Il Popolano non gli era mai piaciuto molto. Lo aveva sempre trovato troppo lento e mesto, rispetto al suo indimenticato omonimo, il Magnifico, ma adesso doveva riconoscergli una notevole capacità di resistenza.

Malgrado i tremendo pettegolezzi che giravano su suo fratello, rimasto ammaliato dalla Sforza in Romagna, al punto da averla messa incinta e da aver cominciato a lavorare per i suoi interessi contro quelli fiorentini senza ricavarvi nulla se non grane, e malgrado le difficoltà non solo con l'opposizione, ma anche con gli stessi sostenitori dei Medici, Lorenzo tirava dritto per la sua strada, senza guardare in faccia più a nessuno.

Aveva trasferito in pianta stabile la famiglia fuori città e anche lui, a volte, passava la notte lontano da Firenze. Dicevano che non avesse altri svaghi se non la politica e che sua moglie non dovesse temere altre signore se non Firenze. Dicevano di lui anche che avesse mandato di proposito il fratello a Forlì nella speranza che fosse lui a sedurre la Tigre e non il contrario, inducendola a piegarsi ai voleri della Repubblica. Dicevano di lui anche che non lo si vedesse ridere da anni, ormai, e dalle sue labbra non uscivano parole che non avessero a che fare con lo Stato o con il suo governo.

Machiavelli non sapeva quanto ci fosse di vero nelle voci che lo volevano taciturno in casa, quanto di grandi discorsi alla Signoria. Sapeva solo che i suoi occhi erano tormentati, le sua guance visibilmente più scavate e che se in anni passati il suo tormento era – a detta di tutti – stato la vendetta verso i cugini, ormai quel pensiero prevalente aveva lasciato il posto al suo degno successore: la ricerca del potere.

"Il papa dice di mandarglielo a Roma o – fece notare il Gonfaloniere di Giustizia, sottolineando in modo molto scenico l'avversativa – di tenerlo a Firenze, a patto che sia controllato!"

"E siccome controllare una simile lingua è un'impresa da Titani, io dico di spedirlo a Roma! Che il papa se ne occupi! Vi rendete conto che se fallissimo nel tenerlo a bada, il Santo Padre ha scritto che lancerà l'interdetto su Firenze? E la confisca dei beni a tutti i mercanti fiorentini al di fuori della nostra città?" rimbrottò subito Lorenzo, seguito da moti di approvazione dei suoi.

Mentre le due parti si scontravano aspramente l'una contro l'altra, Niccolò aveva già intuito da che parte sarebbe andato l'ago della bilancia. Un uomo come Francesco Valori era bravo a fare il bon viso a tutti, quando non si rischiava nulla, ma ora che era in gioco Savonarola, era ovvio che avrebbe fatto pesare il suo volere.

Dopo un po' Machiavelli decise di lasciare la sala, frastornato dalle grida dei fiorentini del pubblico che, da bravi caproni, così come avevano fornito la legna per il Falò delle Vanità, così ora fornivano la cornice a quello scempio della democrazia.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Where stories live. Discover now