Capitolo 348: Felix qui quod amat defendere fortiter audet

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"Per questa volta vi perdono." disse Caterina, guardando di traverso Ridolfi, che rideva sotto i baffi, mentre i musici prendevano posto nell'angolo del salone.

"Pensavo che un po' di musica avrebbe solo potuto fare bene a un matrimonio come questo, no?" si permise di dire il Governatore, con un sorrisetto ammiccante, mentre i suoi occhi correvano ai nodi coniugali che la Contessa e Giovanni portavano al dito.

Non trovando altre obbiezioni da sollevare, la donna si mise a sedere all'unico tavolo preparato per quella sera e permise ai servi di portare da mangiare in tavola.

Aveva dato ordine che per un paio d'ore la sala da pranzo fosse chiusa agli altri abitanti della rocca, contravvenendo al consueto uso di lasciare tutti liberi di andare a mangiare quando preferivano.

I suoi figli erano tutti presenti, e con loro a parte Simone c'erano Luffo Numai, il Capitano Mongardini e un altro paio di fidati Consiglieri.

"Certo che – continuò Ridolfi, sistemandosi sulla sedia che stava al lato estremo della tavolata – se poi si vorrà danzare, sarà bene cercare qualche dama..."

La sua considerazione cadde abbastanza nel vuoto quando arrivò il vino e subito dopo la prima portata.

Per tutto il tempo, i figli della Contessa chiacchierarono tra loro, escluso Cesare che stava in silenzio, spizzicando appena quello che gli veniva messo davanti al naso. I Consiglieri e gli altri pochi presenti gustarono la cena con grande piacere e fecero del loro meglio per fingere che non vi fosse nulla di strano in quella particolare festa di nozze.

Caterina, dal canto suo, era felice perché quando erano usciti dalla chiesa si era accorta che quasi nessuno aveva fatto caso a loro, benché stessero camminando molto vicini e fossero vestiti in modo più elegante del solito.

Se fosse stata abile con gli inganni e le mediazioni, forse avrebbe ritardato a sufficienza il dilagare della notizia delle sue nozze, riuscendo a tenerla discretamente segreta almeno fino a quando la guerra non fosse davvero iniziata.

Come aveva previsto il Governatore di Imola, dopo aver mangiato e bevuto a sazietà, gli ospiti cominciarono a reclamare qualche ballo.

Dopo aver scambiato uno sguardo d'intesa con il marito, la Contessa concesse agli uomini presenti di far entrare nel salone qualcuna delle serve, se questo era di loro gradimento e in una manciata di minuti il banchetto di nozze si trasformò in una caotica festa popolana.

"Voi due non ballate?" chiese Simone, con una giovane sguattera di cucina a braccetto.

La ragazza era così sconvolta dall'emozione, da non riuscire a smettere di ridire, troppo incredula davanti all'invito ricevuto da un uomo tanto prestante e ben vestito da non essere in grado di trattenersi nemmeno davanti alla sua padrona.

"Per ora stiamo bene qui." rispose Caterina, senza aggiungere altro.

Giovanni fece un breve sorriso e poi un gesto con il capo al cugino, per sollecitarlo a mettersi a danzare e lasciarli in pace.

Stando tanto vicini da aver bisogno solo di un sussurro accennato per parlarsi, il fiorentino e la Tigre passarono gran parte del tempo a scambiarsi impressioni e sensazioni provate quel pomeriggio e a commentare ogni dettaglio notato negli invitati, nel prete e nella gente di Forlì che li aveva visti uscire dalla chiesa.

Oltre al desiderio di stare così, uno accanto all'altra davanti a tutti a parlare con le mani dell'uno allacciate in quelle dell'altra sul tavolo, alla vista di tutti, a far preferire a Caterina di restare al tavolo piuttosto che danzare era stata la condizione del Medici.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Where stories live. Discover now