Capitolo 289: Ducis in consilio posita est virtus militum

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Sul Chilone l'aria di primavera soffiava forte come quella di una tempesta. Le urla dei soldati in rotta rimbombava come un tuono, mentre i fratelli Vitelli incitavano i loro uomini a continuare l'inseguimento.

Virginio Orsini, estraendo la punta della lancia dal corpo di un nemico, sollevò lo sguardo verso il fiume e vide con sollievo che i soldati della Lega stavano battendo in ritirata in modo scomposto, guadando a fatica il Chilone, che rumoreggiava indifferente, trascinandone via uno di quando in quando.

Camillo Vitelli rimontò in sella, andando al galoppo verso l'Orsini: "Una bella vittoria." gli disse, con un sorriso che illuminava il suo lungo volto.

Il fratello Paolo stava ancora seguendo l'azione dei loro soldati, anche se ormai aveva abbandonato l'idea di annientare del tutto il nemico, accontentandosi di aver indotto gli avversari alla resa.

Virginio si levò l'elmo e se lo mise sotto al braccio. Osservò ciò che restava della battaglia. Non avevano subito troppe perdite, almeno a una valutazione superficiale. Nemmeno avevano ucciso molti nemici, perché quelli si erano dati alla fuga troppo presto, ma era chiaro che quell'azione fosse stata una grande vittoria.

"Mi è piaciuta la vostra tecnica..." disse Virginio, quando Camillo recuperò un cavallo anche per lui e lo invogliò a tornare assieme verso i padiglioni, dicendo che Paolo si sarebbe occupato per entrambi dei postumi dello scontro.

"Di certo ha spaventato quei maledetti aragonesi." convenne il Vitelli, quando furono già in vista dell'accampamento.

Virginio sollevò un sopracciglio, sinceramente ammirato dalle idee innovative dell'altro, benché l'uso così ampio delle armi da fuoco lo facesse sentire fuori posto.

Camillo e Paolo avevano dato vita a una battaglia come l'Orsini mai ne aveva viste. Avevano armato con bocche da fuoco la cavalleria pesante. L'attacco era cominciato con la carica a mezza velocità della prima fila e dopo aver scaricato il potere delle armi moderne contro il nemico, questa era rientrata nelle retrovie, lasciando il posto alla seconda, che aveva sparato e poi si era a sua volta aperta e spostata dietro, permettendo alla prima fila, che nel frattempo era riuscita a ricaricare, di colpire il nemico con una nuova serie di detonazioni.

"Voi però – constatò Camillo, smontando di sella e accettando una borraccia d'acqua da uno degli scudieri – restate ancora attaccato alle lance e alla spade, ho visto."

Virginio prese a sua volta da bere e, dopo essersi bagnato la bocca e sciacquato il volto impiastrato, convenne: "Ormai io sono troppo vecchio per discostarmi dalla guerra che ho imparato a fare fin da ragazzo. Inoltre, senza i miei metodi antichi, la vostra retroguardia e le ali sarebbero rimaste molto scoperte." soggiunse, indicando con l'indice la spada che portava al fianco, coperta di sangue fin sull'elsa.

Mentre i due discutevano ancora delle innovazioni militari che si stavano aprendo in quegli anni, arrivò nel padiglione anche Paolo Vitelli.

I corti capelli neri erano incollati alla fronte, fradici di sudore, e sul lungo naso affilato si poteva vedere il segno di un filo di lama che doveva averlo sfiorato, non uccidendolo solo per un soffio.

"Da bere." ordinò l'uomo, mettendo fretta allo scudiero con un gesto veloce della mano.

Il ragazzo gli passò una borraccia e l'uomo diede un sorso, ma lo sputò subito in terra: "Vino, non acqua!"

Lo scudiero rimediò subito all'errore, e, non appena riuscì a dissetarsi come desiderava, Paolo Vitelli si parò davanti al fratello e, battendo le mani ancora guantate di ferro contro le rondelle alte dell'armatura di Camillo, esclamò: "Cavalleria pesante con l'archibugio al posto della spada. Un attacco veloce e a ripetizione. L'alternanza delle linee. Tu sei un genio, fratello mio."

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Where stories live. Discover now