Capitolo 293: Hodie mihi, cras tibi

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Caterina guardava in silenzio la processione che affiancava il corpo di Bianca dal palazzo del Governatore, passando davanti alla rocca, per permettere anche al padre, Gian Piero, di dare un ultimo saluto alla figlia, fino a raggiungere il Convento dell'Osservanza.

Tutta la città sembrava disperata per quel fulmine a ciel sereno e le nuvole che coprivano il sole, precipitando Imola nell'afa più totale, rendevano le lacrime dei presenti ancora più salate e penose.

Bianca sarebbe stata sepolta nella chiesa di San Michele, di cui il convento era una dipendenza.

Il posto per lei era stato ricavato nel muro della cappella già quella mattina e restava solo da commissionare la pietra tombale.

Lucrezia aveva provato a dire a mezza bocca che forse sarebbe stato più consono seppellirla in Duomo, dato che era stata la moglie di un Governatore, ma tanto Caterina quanto Tommaso si erano subito opposti, ricordando come nella chiesa di San Cassiano già fosse stato tumulato Girolamo e nessuno dei due voleva che i resti di Bianca riposassero accanto a quelli del defunto Conte Riario.

La bambina, invece, non poteva essere sepolta in terreno consacrato, perchè non aveva ricevuto il battesimo, nascendo già morta.

Caterina aveva provato ad alzare la voce con il prete responsabile del Duomo, che era stato il primo a negare la degna sepoltura alla piccola, ma il religioso era stato irremovibile, elencando una serie di obblighi che gli esseri umani avevano nei confronti della Chiesa e spiegando come fosse impossibile infrangere certi dogmi.

Quando la Contessa aveva osato fare il nome del papa, poi, il prete aveva gonfiato il petto e aveva esclamato che quel genere di cose nemmeno il Sommo Pontefice poteva cambiarle.

Lucrezia era intervenuta, dicendo che il prete aveva ragione e che il corpicino della bambina sarebbe stato sepolto, com'era giusto, in terreno sconsacrato, assieme agli altri 'piccoli', sperando che Dio, nella sua immensa misericordia, nel Giorno del Giudizio si ricordasse anche di lei.

Alla Contessa quelle radicate convinzioni e quella cieca ubbidienza ai precetti calati dall'alto parevano assurde, ma quando aveva incrociato lo sguardo addolorato di Tommaso aveva capito che era semplicemente meglio non parlarne più e lasciare che facessero dei resti della bambina quel che volevano.

In fondo, una tomba era sempre una tomba, sia che fosse scavata in una chiesa, sia che fosse stata ricavata in un campo.

La realtà della morte non sarebbe cambiata, e se qualcuno avesse voluto andare a piangere per quella vita mai cominciata, avrebbe potuto farlo tanto davanti a una croce, quanto sopra a una lapide in bianco.

Mentre entravano in San Michele, Caterina, che indossava un abito scuro prestatole dalla madre e un velo di pizzo nero recuperato all'ultimo da una delle dame di compagnia di Bianca, si disse che almeno suo cognato stava ricevendo la consolazione della partecipazione popolare.

Rispetto al cordoglio opportunista e pregno di terrore che aveva contraddistinto le esequie di Giacomo, quel giorno a Imola si respirava un'aria di partecipazione contrita e sincera.

Parlando con Gian Piero, quella mattina presto, mentre si discuteva dell'organizzazione del funerale e di alcuni affari di Stato, la Contessa aveva scoperto che sua sorella in quegli ultimi mesi si era fatta amare moltissimo dagli imolesi.

Bianca aveva preso a passeggiare spesso per le vie della città e si intratteneva a chiacchierare con i mercanti e con le donne, proprio come anche Caterina aveva fatto per anni a Forlì. Con la sostanziale differenza che la moglie di Tommaso Feo sembrava nata per quel compito, dimostrandosi sempre affabile, comprensiva e sorridente, disposta ad avere una buona parola e un gesto affettuoso per tutti.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora