Capitolo 361: Ride, si sapis.

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Lorenzo era assorto nel guardare il figlio Pierfrancesco, non ancora dodicenne, che ripeteva alla madre la lezione appresa quel giorno.

Non era nulla di che, la solita accozzaglia di nozioni di politica che probabilmente quel ragazzino non avrebbe mai più rispolverato per tutta la sua vita.

Man mano che cresceva, al padre appariva sempre più chiaro che il suo primogenito non aveva la stoffa dell'uomo di Stato. Sarebbe stato un ottimo banchiere, quello sì. Aveva un istinto innato per i numeri e i calcoli, ma nulla di più.

Semiramide batté un paio di volte le mani e poi lasciò il figlio libero di ritirarsi, se voleva, o di restare, se gradiva la compagnia dei genitori ancora per un po'.

Pierfrancesco, pur tentato, guardò di soppiatto il padre. Da quando erano tornati a Firenze, il Popolano più vecchio era diventato man mano più scontroso e chiuso. Anche se coi figli riusciva, di norma, ad apparire più disteso, era arrivato a un punto in cui a volte rispondeva male pure a loro e senza che ve ne fosse motivo.

"Preferisco ritirarmi per la notte, madre..." disse il ragazzino, con un breve sorriso imbarazzato.

Non appena Semiramide lo salutò con un bacio sulla guancia, e altrettanto ebbe fatto Lorenzo, Pierfrancesco li lasciò soli e a quel punto il Medici si sentì finalmente libero di dare voce ai suoi pensieri.

Non voleva addensare nuvole sui suoi figli con i suoi tormenti, perciò era a sera, quando tutta la casa cominciava a dormire e lui e sua moglie restavano soli davanti al camino ancora acceso che si sentiva più incline a confidarsi, anche se non sempre ci riusciva.

"Hanno accettato la mia candidatura all'Arte della Seta." disse l'uomo, con un tono un po' spento, guardando in terra.

Semiramide si sistemò un po' sulla poltroncina imbottita e commentò, per incoraggiarlo: "Questa è un'ottima cosa. Adesso potremo espandere i nostri affari..."

"Avrei voluto farlo con mio fratello." la bloccò Lorenzo, scurendosi ancora di più: "Anche lui doveva iscriversi. Così come si era iscritto assieme a me all'Arte del Cambio e a quella dei Mercanti."

"Vedrai che quando potrà si iscriverà anche lui..." tentò di mitigarlo la moglie, che non sapeva più come gestire il pessimismo che aveva colto il marito facendolo cambiare così tanto e così in fretta.

"Ma vedi, è che..." cominciò l'uomo, ma uno dei domestici batté con forza sullo stipite della porta e così il padrone di casa si fermò e gli chiese che avesse.

"Una staffetta ha appena portato una lettera." disse il servo, tenendo il messaggio su un piatto.

"Se è una convocazione della Signoria, possono arrangiarsi. A quest'ora le strade sono buone solo per i ladri, gli assassini e le adescatrici. Che se la facciano da soli, l'ennesima riunione straordinaria per discutere della scomunica..." borbottò Lorenzo, agitando in aria la mano con impazienza.

"Si tratta di una lettera appena arrivata dalla Romagna." precisò il domestico, ricordando le precise parole della staffetta che, ancora fradicia della pioggia incontrata per strada, aveva pregato di consegnare la missiva solo nelle mani di Lorenzo Medici: "Da Forlì."

Il Popolano era già scattato in piedi e come lui Semiramide. Quando Lorenzo si accorse che il messaggio era tenuto chiuso dal sigillo degli Sforza Riario, per un momento temette che portasse con sé notizie tragiche.

Si risollevò subito, vedendo la grafia del fratello. Iniziò a leggere in fretta, mentre la moglie prima congedava il servo e poi si metteva a sbirciare da sopra la spalla del marito.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora