Capitolo 346: Nessun uomo conosce la certezza e nessun uomo la conoscerà mai

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 La Tigre si era finalmente addormentata, stremata dopo un notte trascorsa a parlare del passato e a ragionare sul presente. Come una guerriera dopo la battaglia, aveva accettato l'appoggio solido e caldo che la spalla di Giovanni rappresentava e aveva chiuso gli occhi, per assopirsi all'istante.

Il Medici, invece, per quanto ci avesse provato, non era riuscito a prendere sonno. Anche mentre i primi raggi del sole entravano dalla finestra e le ultime candele arrivavano alla fine, l'uomo restava con gli occhi spalancati e la mente al lavoro.

Era steso sul letto, accanto a Caterina, che solo di quando in quando borbottava qualche parola, continuando a dormire, come faceva spesso quando gli incubi che le infestavano il riposo non erano troppo spaventosi.

Quello tra loro, quella notte, era stato un confronto molto intenso e Giovanni era contento che la sua donna si fosse fidata tanto di lui da dirgli tutto quanto.

All'inizio, dopo le prime parole, si era fatta un po' restia e gli aveva chiesto, prima, di parlarle anche un po' di lui, ma alla fine aveva ripreso in mano il discorso e aveva toccato tutti i punti che per lei erano più importanti.

All'inizio, per assecondare la sua richiesta, il Popolano aveva deciso di farle leggere qualcosa che ancora non le aveva mostrato, nell'intento di usare quelle poesie come pretesto per iniziare a parlare di sé e della sua infanzia e prima giovinezza.

Si trattava di alcuni fogli scritti a mano da lui, su cui aveva copiato delle canzoni di suo cugino, Lorenzo il Magnifico, come lo chiamavano i potenti della Terra.

Glieli aveva letti, insistendo soprattutto su quelli che preferiva e solo poi le aveva rivelato chi fosse l'autore.

"Anche se preferivo andare a cavallo e stare all'aperto, anche prima di ammalarmi mi piaceva leggere le cose belle. Li ho copiati tanti anni fa, certi quando ancora vivevo a casa sua... Altri da raccolte che mi sono capitate tra le mani. Sai, mio cugino, a Firenze, lo leggevano in molti a un certo punto." aveva spiegato il fiorentino: "Li ho copiati perché mi piacevano, anche se li aveva scritti lui."

"Tuo cugino doveva essere un uomo interessante." aveva detto allora Caterina: "Oltre ad aver voluto lui la morte del mio primo marito, sapeva anche scrivere bene. Aveva molte ottime qualità."

Giovanni non aveva detto nulla, apparendo un po' a disagio.

La Sforza, allora, aveva cambiato tono, prendendo i fogli e appoggiandoli con cura alla cassapanca, per poi tornare a sedersi accanto a lui sul letto: "Lo so che brucia ancora. Ti capisco, e lo dico davvero. So bene che significa, sentirsi traditi da parenti che credevi volessero solo il tuo bene."

"Scusami – aveva subito soffiato l'ambasciatore, sentendosi decisamente fuori luogo – io penso al furto di qualche proprietà e di un po' di soldi, mentre tu hai perso l'uomo che..."

"Non mi riferivo al tradimento di Cesare e Ottaviano nei miei confronti." aveva ribattuto subito la Leonessa, con un respiro fondo, che stava a indicare che forse era pronta a parlare: "Mi riferivo a mio padre. Io l'ho amato moltissimo, e lui, in cambio del mio amore, mi ha venduta a un uomo che nemmeno conosceva solo per evitare una guerra, senza nemmeno darsi pena al pensiero che io avevo solo nove anni e il mio promesso sposo – aveva detto quelle parole con le labbra distorte dal disgusto – ne aveva venti più di me." e da lì aveva cominciato il suo racconto.

Giovanni ci aveva messo tutto quel che poteva per restare tranquillo, man mano che Caterina passava da un anno all'altro, nella sua storia, ma ogni sopruso e ogni difficoltà che lei narrava di aver superato era per lui un dolore. Avrebbe voluto esserle al fianco fin dal principio, per aiutarla e difenderla, anche se forse, in alcuni frangenti, sarebbe stato del tutto inutile.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Where stories live. Discover now