Capitolo 411: Fame da lupi

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Per presto che si potesse fare, una volta discusso il piano con i suoi più fidati Consiglieri, Caterina si era resa conto che Giovanni avrebbe lasciato Forlì al prima appena passata la metà del mese.

"Se si passan le montagne agevolmente – aveva spiegato Corradini, quando la Contessa gli aveva chiesto di fare da guardia del corpo al Medici – e di questa stagione è possibile, potremo essere a Firenze in meno di quattro giorni."

Mentre se ne parlava, il Popolano ascoltava in silenzio, combattuto tra l'esternare le proprie preoccupazioni in merito alla sua salute – che avrebbe potuto rendergli ostica una traversata di quel tipo e lunghe cavalcate – e il dirsi soddisfatto all'idea di arrivare in città tanto rapidamente.

"Andare a marce forzate non è un problema, per voi, giusto?" gli chiese il soldato, quando la piccola riunione fu sciolta.

Il fiorentino aveva alzato una spalla e, vedendo la moglie intenta a parlare con Luffo Numai, si affrettò a rispondere, prima che lei si avvicinasse e potesse sentirlo: "Non c'è alcun problema. La mia salute reggerà benissimo."

Per qualche giorno i preparativi parvero a tutti frenetici. Non si trattava solo di mandare un uomo e qualche soldato di scorta a raggiungere Ottaviano, ma di una vera e propria missione diplomatica.

Tanto la Tigre, quanto i suoi uomini di fiducia, riempivano di continuo Giovanni di consigli, finendo quasi a confonderlo.

Una sera, mentre stavano mangiando, il Capitano Mongardini, stufo di sentire tutti quanti dare dritte al Popolano, aveva picchiato una mano sulla tavola, esclamando: "E che diamine! Il Medici ne sa più di tutti voi di diplomazia e guerra! Piantatela di assillarlo!"

Il fiorentino aveva rassicurato quelli che erano stati zittiti dicendo loro che ogni consiglio gli era comunque prezioso, ma in realtà si trovò molto grato al Capitano.

Siccome non si era esclusa la possibilità che il Medici avrebbe dovuto imbracciare le armi, Caterina si era premurata personalmente di aiutarlo a riprendere un po' di confidenza con la spada.

Praticamente era da quando si trovava a Forlì che non usava armi, se non per qualche rarissimo duello di prova. Le difficoltà oggettive che l'uomo riscontrava nel tenere in mano un oggetto tanto pesante lo avevano messo fin da subito in difficoltà.

La moglie ci aveva ragionato e aveva fatto preparare dai conciatori dei robusti lacci di cuoio che gli permettevano di non perdere la presa anche quando doveva contrastare un colpo diretto filo a filo.

Anche quel pomeriggio, dopo aver atteso che il sole più forte del mezzogiorno fosse un poco calato, lasciando mezzo cortile d'addestramento all'ombra, la Tigre aveva deciso di rivedere assieme al marito la sua preparazione fisica. Anche se la Sforza tutto voleva, fuorché sapere il marito nel mezzo della battaglia, era conscia che nell'andare ad aiutare Ottaviano non era impossibile pensare che Giovanni avrebbe dovuto alzare le mani come tutti gli altri e sporcarsele di sangue.

"Devi ricordarti di tenere d'occhio i punti ciechi." stava dicendo la donna, indicando al Medici i lati della sua testa: "Con l'elmo addosso, è facile non vedere un nemico che arriva dai fianchi, quindi devi voltarti un po' di continuo, quel poco che basta per evitare brutte sorprese."

Il Popolano ascoltava e poi passava a parare i colpi che la moglie gli assestava con la spada senza filo che usavano per addestrarsi. Sapeva che Caterina si stava moderando e, anche quando le aveva detto di andarci giù pesante, visto che in guerra nessuno si sarebbe dato pena di risparmiarlo, la Tigre aveva assicurato di star già facendo il massimo.

Galeazzo, sinceramente interessato agli addestramenti del patrigno, di quando in quando si aggiungeva ai consigli, sempre temendo che la madre lo rimettesse al suo posto o gli desse dello sciocco per qualche errore di valutazione.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Where stories live. Discover now