Capitolo 335: Très braves et vaillans capitaines

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 I cavalleggeri di Carlo Orsini erano tornati in tempo al campo per riferire che i pontifici si preparavano a sferrare un attacco, probabilmente per scrollarsi di dosso i nemici una volta per tutte e così Vitellozzo Vitelli aveva, di comune accordo col figlio illegittimo del defunto Virginio, deciso subito di provare a sfruttare quel movimento improvviso a loro favore.

L'avanguardia papalina, guidata da Fabrizio Colonna e Antonello Savelli era stata così sbaragliata, ancor prima di scagliarsi sugli uomini di Vitelli, dalla cavalleria dell'Orsini, che aveva potuto giocare d'anticipo, spianando la strada alla seconda linea.

Lo scontro, tuttavia, era andato ben oltre, soprattutto per un improvviso moto d'orgoglio del Duca d'Urbino, ma i vitelleschi avevano subito contrattaccato, travolgendo gli avversari con la  superiorità delle armi che portavano in dotazione: picche molto più lunghe e robuste, capaci di trafiggere senza troppa fatica un'armatura stando a distanza di sicurezza.

Vitellozzo, dopo aver gridato i suoi ordini, si era tuffato nella mischia assieme ai suoi e non aveva dato un momento di tregua agli avversari, cercando disperatamente di trovare nella confusione Juan Borja, o almeno Guidobaldo da Montefeltro. Voleva ucciderli con le proprie mani.

Quando finalmente intravide il profilo scarno e spaurito del figlio del papa, Vitelli si fece strada gettando in terra più di un papalino, ma quando fu abbastanza vicino al Borja, Muzio Colonna gli saltò davanti e ingaggiò con lui un duello spada a spada che presto divenne all'arma bianca.

Terrorizzato dal pericolo corso, Juan, rimasto malauguratamente senza elmo dopo una rovinosa caduta da cavallo, cominciò a correre per il campo, senza sapere in che direzione andare.

Quel 27 gennaio il cielo sopra Soriano era opalescente e gettava sui guerrieri una luce abbagliante e ingannevole. Il Borja si sentiva confuso e tutto attorno a lui pareva significare morte.

Era tutto così diverso dalle esercitazioni fatte nel cortile di Castel Sant'Angelo... Sotto agli occhi compiaciuti di suo padre, Juan aveva sfilato con uno dei suoi migliori cavalli da guerra, mostrandola sua bravura nella nuova tecnica del caracollo e aveva dato prova della sua destrezza con la lancia e con la spada. Ma poi era bastato trovarsi in mezzo a soldati veri e non pagati dal pontefice per farlo sembrare un Dio della guerra, ed ecco che l'amara verità era venuta a galla.

Strizzando gli occhi contro il riverbero, e trattenendo a stento lacrime di puro terrore, il figlio del papa continuò a mettere un piede davanti all'altro, sfuggendo a ogni possibile pericolo, ignorato da tutti, malgrado l'armatura laccata d'oro.

Siccome era troppo impegnato a guardarsi le spalle ogni due secondi, per paura di avere qualcuno alle calcagna, Juan finì per inciampare su un cadavere e scivolare in terra, sul fango impastato di sangue.

Mentre cercava di rialzarsi, vide un paio di piedi piantarsi davanti a lui e, quando sollevò lo sguardo, vide una lama calare contro di lui. Il nemico che stava per sferrare il colpo, però, non diede forza alla spada, cadendo morto in pochi istanti, trafitto all'altezza della nuca da una lancia di un soldato vaticano.

Tuttavia la punta della lama aveva sfiorato ugualmente il viso di Juan, quasi nello stesso punto in cui Bartolomea Orsini era riuscita a graffiarlo durante l'assedio di Bracciano. Questa volta la ferita era più profonda, e sanguinava vistosamente.

Il figlio del papa di portò una mano alla guancia e nel vederla poi macchiarsi di rosso, si sentì quasi mancare e il respiro gli divenne affannoso. Aveva così tanta paura di morire da non sentire più le grida dei soldati che si uccidevano attorno a lui, né riusciva più a vedere nitidamente. I suoi occhi erano offuscati e le gambe si rifiutavano di tenerlo in piedi.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Where stories live. Discover now