Capitolo 430: Sit tibi terra levis

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La luce del mattino stava sorgendo stentata, oltre la finestra. Forse il cielo si era coperto di nuvole, nelle ultime ore della notte, ma Caterina non credeva che sarebbe piovuto tanto presto.

Anche se i casi di febbri erano diminuite, fin quasi ad azzerarsi, restava il problema dei campi che, con quella siccità, si stavano seccando uno dopo l'altro. Benché in quel momento di contadini ne stessero restando sempre meno – dato che la massiccia chiamata alle armi li aveva distratti dai loro doveri agricoli – anche quei pochi che cercavano di tirare avanti stavano facendo fatica. E presto anche le scorte cittadine sarebbero state ridotte all'osso...

La Contessa sospirò pesantemente, Ludovico, coricato sopra di lei, così come si era addormentato la sera prima, fece una piccola smorfia un po' infastidita, per quel suo movimento, ma non si svegliò.

Anche se aveva appena cinque mesi, la Sforza aveva dato ordine di cominciare a svezzarlo, sicura che i tempi sarebbero stati difficili e che, forse, sarebbe stato complicato avere le balie a disposizione ancora a lungo. Così, alternando con attenzione latte e altro, il bambino aveva iniziato a nutrirsi in modo più vario e, incredibilmente, stava sopportando benissimo – molto meglio di tutti i suoi fratelli – quel cambiamento, allungando sempre di più le pause tra un pasto e l'altro.

Quando ne scherzava con Bianca, Caterina diceva: "Mangia già come un soldato: quel che può, quando può."

La Riario non trovava troppo divertente quel genere di osservazioni, ma sorrideva sempre, dando ragione alla madre e aggiungendo: "Sperando che da grande possa mangiare quando vuole e quel che vuole."

Assorta, gli occhi rivolti sempre alla finestra da cui filtrava la luce plumbea della primissima alba, la donna accarezzò con lentezza la testa del figlio e si chiese con angoscia che ne sarebbe stato di quel piccolo. Era così indifeso e si era trovato a vivere in un mondo già così difficile...

Quando sentì bussare alla porta, con insistenza e quasi con violenza, la Tigre per poco non saltò sul letto dalla sorpresa. Quando poi sentì la voce del castellano chiederle se potesse entrare, disse di sì senza pensarci, sicura che fosse successo qualcosa di grave.

Ludovico si era svegliato di colpo e aveva accennato un piantolino, salvo poi zittirsi all'istante, un po' spaventato da Cesare Feo che, in un lampo, era arrivato fino accanto al letto, porgendo una lettera alla Contessa: "Urgente, per voi, da San Pietro."

A quelle parole, Caterina sentì il sangue gelarsi nelle vene. Anche se aveva dato la priorità assoluta alle eventuali missive da parte di suo marito, dando permesso di disturbarla a qualunque ora, la gravità con cui il castellano aveva parlato era di per sè un segnale di allarme.

Così, paradossalmente rallentata nei movimenti dalla paura, la donna posò con delicatezza Ludovico nel centro del letto e prese il foglio. L'aprì e cominciò a leggere.

Le bastò meno di un minuto per capire. Il cuore mancò un battito e per qualche istante le parve che le mancasse l'aria nei polmoni. Sapeva – o, almeno, temeva – che un momento del genere sarebbe arrivato, ma non avrebbe mai creduto tanto presto.

Nel giro di pochi istanti, radunò i pensieri e corse in corridoio, chiamando a gran voce Bianca che in quei giorni dormiva in una stanza poco lontana dalla sua, proprio per averla più vicina in caso di bisogno.

La Riario, in vestaglia da notte, si catapultò fuori dalla porta e, cercata con lo sguardo la madre, le corse subito incontro: "Ditemi."

"Corri nel mio laboratorio e prendi le due bottigliette che ho sul ripiano a destra. Hai capito quelli intendo?" fece Caterina, parlando in fretta, ma a voce bassa.

La ragazza annuì e poi chiese: "Altro?"

"Portamele. Mi troverai nella stalla. E poi bada a tuo fratello. È in camera mia." disse la Contessa, a scatti.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Where stories live. Discover now