Capitolo 391: Che c'è di più dolce del miele? Che c'è di più forte del leone?

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Giovanni camminava avanti e indietro, senza nemmeno avvertire il solito fastidio alle gambe. Era così agitato che non riusciva nemmeno a pensare.

Oltre alle brache che aveva frettolosamente recuperato prima di uscire dalla stanza per cercare medico e levatrice, portava un giubbetto del castellano Feo. Gli stava largo, ma era meglio di niente, con il freddo che faceva quella sera.

In pochi minuti mezza rocca si era svegliata e la notizia che la Contessa stava per partorire aveva fatto il giro di tutta Ravaldino. Le balie avevano provato a tenere i figli minori della Tigre lontani dalla stanza della madre, ma senza successo.

Fuori dalla porta, sotto la luce tremula delle torce a muro, oltre al Medici, c'era ormai una nutrita schiera di uomini, tra soldati e Capitani, il castellano e tutti i figli della Sforza, Cesare compreso.

Bianca, seduta su una delle panche di pietra, batteva nervosamente un tacco a terra, guardando di continuo verso la camera della madre. Non si sentiva quasi alcun suono, oltre alle parole della levatrice. La ragazza ricordava altri parti della madre e ricordava anche le urla. Si chiedeva come mai quella volta non si sentissero.

Vicino a lei, Bernardino e Galeazzo, che per nessun motivo al mondo avevano voluto tornare a dormire, si distraevano a modo loro sfidandosi nel riconoscere le posizioni del tiro di spada.

Sforzino, un po' imbronciato per l'apprensione – legata più a quella dei fratelli che non a una sua reale coscienza del pericolo – stava in un angolo, vicino a Cesare che, in abiti da prete, era immobile come una statua di sale, gli occhi vitrei e un rosario in mano.

Ottaviano era l'unico che sembrava scocciato, più che in ansia. Passava di continuo il peso da un piede all'altro e di quando in quando sbuffava. Aveva ancora addosso gli abiti del giorno e i suoi riccioli inanellati ricadevano un po' scompigliati a coprirgli parte del volto.

In realtà, malgrado il distacco che cercava di mostrare, il suo cuore non aveva smesso di accelerare nemmeno per un istante, da quando aveva saputo che sua madre stava per partorire. Malgrado tutto, malgrado tutto il male che le aveva fatto e che lei aveva fatto a lui, non avrebbe sopportato di perderla, tanto meno per un motivo del genere.

Però, una parte piccola, ma prepotente, della sua anima, si diceva che se il bambino fosse morto non sarebbe stato un dramma. Quel figlio sarebbe nato quasi lo stesso giorno in cui era nato lui. Lo avrebbe sostituito in tutto e per tutto. Ottaviano sapeva già che per sua madre era il figlio del Medici il suo vero erede. A quel modo, lui non sarebbero davvero contato più nulla per lei.

"La vuoi piantare?" sibilò a un certo punto Bianca, appena coperta dal vociare degli uomini che si chiedevano cosa stesse succedendo nella camera.

Il Riario maggiore la guardò e smise di altalenare da un piede all'altro. Per un istante, nell'incrociare lo sguardo della sorella, Ottaviano capì quanto anche lei fosse in pensiero, ma subito dopo fece una smorfia e soffiò, spazientito.

"Se solo si sbrigasse..." borbottò.

"Avevi impegni migliori?" chiese la ragazza, mordendosi la lingua per evitare di aggiungere cose più spiacevoli.

"Non sono affari tuoi." ribatté con astio il fratello.

Giovanni, poco lontano da loro, non sentì nemmeno cosa si stavano dicendo. Più l'attesa si faceva lunga – non che in realtà fosse passato molto tempo, da quando la levatrice aveva preso in mano la situazione – più la sua mente lo metteva davanti a scenari tragici.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora