Capitolo 392: Nihil necesse est, undique enim ad inferos tantundem viae est

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La sera dell'8 aprile, la Domenica delle Palme, il giorno dopo la mancata prova del fuoco, gli uomini e le donne di Firenze che erano in Santa Maria del Fiore per ascoltare le parole della predica, videro la loro apparente pace turbata da un improvviso vociare.

Tra loro, a macchia di leopardo, si erano messi dei Compagnacci e questi, uno dopo l'altro e con sempre maggior audacia e aggressività, cominciarono a gridare e dare spallate alle donne sedute sulle panche che avevano sotto tiro.

"Andatevene con Dio, Piagnonacci!" ululava uno.

"Piagnoni infami!" face eco un altro.

Spaventate per quello che stava succedendo, le donne prese di mira si alzarono tutte, una dopo l'altra, dalle loro sedute e, in cerca di protezione, non capendo fino a che punto i Compagnacci si sarebbero spinti, cercarono protezione presso gli altri uomini presenti nella chiesa.

Capendo che tutto poteva degenerare da un momento all'altro, i fortunati che erano vicino al portone sgusciarono fuori e cominciarono a correre, scappando a gambe levate.

Mentre il clima si surriscaldava sempre di più, i Compagnacci cominciarono a individuare tra la folla i sostenitori più noti e accaniti di Savonarola e, tirate fuori armi e bastoni da sotto i mantelli, cominciarono a inseguirli.

Questi, assecondati dalla folla di fedeli che si scostava al loro passaggio per permettere loro la fuga, lasciarono in fretta la chiesa e si riversarono verso via del Cocomero. I più lenti venivano presi dagli assalitori e picchiati a mani nude fino a stramortirli e, quando provavano a ribellarsi, venivano passati a fil di spada.

Nel giro di nemmeno un'ora, in tutta la città scoppiò una sorta di guerra civile, che vedeva contrapporsi i savonaroliani e i Compagnacci, senza esclusione di colpi o di sotterfugi.

Siccome, però, i Piagnoni erano stati colti alla sprovvista, le sorti del conflitto voltarono rapidamente in favore dei loro oppositori che, rapidi come un fulmine estivo, cominciarono a riversarsi verso San Marco gridando: "Ai frati! Ai frati! A San Marco!"

Come stregati dalla forza di queste urla, tutti i fiorentini, anche quelli che fino a quel momento non avevano preso in alcun modo parte ai tafferugli, bambini compresi, si accodarono, brandendo armi di fortuna e sassi.

I molti che erano in San Marco, chiuse le porte, si videro negare ogni via di fuga perché la folla inferocita stava prendendo a sassate ogni possibile sortita. Solo pochissimi astuti riuscirono a guadagnare la salvezza scappando dalla sagrestia, di nascosto.

Dopo un po', mentre ancora i colpi dei sassi contro il portone di San Marco rimbombavano nella fredda aria serale, dal Palazzo della Signoria arrivò un bando ufficiale.

"Chiunque piglierà frate Girolamo Savonarola, avrà mille ducati!" lesse a pieni polmoni il portavoce della Signoria.

Questa notizia infervorò ancora di più il popolo, che, come se il frate fosse di certo in San Marco, prese a colpire con maggior forza il legno già logoro della porta.

Erano ormai le dieci di sera quando, contro ogni aspettativa della folla, si capì che Savonarola non era nel suo convento. Molta parte della popolazione era sviata in piazza, in cerca di notizie più sicure.

Ad arringare i presenti arrivarono alcuni uomini a cavallo, dei Compagnacci, che iniziarono a gridare: "Alla casa di Francesco Valori! A sacco! A sacco!"

Come un gregge di pecore furiose, tutti quanti seguirono senza esitazione quelli che avevano inneggiato al saccheggio della dimora del Gonfaloniere di Giustizia e, in pochi minuti, arrivarono a destinazione e diedero fuoco alla porta d'ingresso. Una volta sfondato quell'ultima protezione, i più volenterosi e i più ferventi, entrarono nel palazzo e portarono via tutto quello che trovarono.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Where stories live. Discover now