Capitolo 363: Heu, coscientia animi gravi est servitus!

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 Ludovico stava ascoltando attonito quello che il suo messo gli stava riferendo. La sceneggiata che Francesco Gonzaga aveva fatto a Venezia aveva qualcosa di assurdo.

Prima aveva cercato di rifiutare le accuse mosse contro di lui addossando ogni colpa a lui e a Galeazzo San Severino. Poi, quando il Doge aveva dato segni di impazienza, aveva accettato di malagrazia il licenziamento e si era vestito a lutto per dimostrare la sua contrarietà. Infine, prima di tornarsene dalla moglie con la coda tra le gambe e indebitato con Venezia che rivoleva i ventimila ducati della condotta versati in anticipo, di cui almeno ottomila erano già stati sperperati dal Gonzaga per comprare il sale per Mantova, aveva addossato la colpa di ogni possibile complotto a Piero Gentile, che era ancora in Francia. Una mossa da vero vigliacco.

"Che faccia tosta..." sbuffò il Duca, battendosi un pugno: "Sarei curioso di vedere la faccia della povera Isabella quando se lo vedrà tornare a casa senza lavoro e senza soldi..."

Il messo fece qualche commento molto vago, indeciso se assecondare il tono di scherno del suo signore. Mentre stava per riprendere il discorso, dalla porta del salone fece capolino Ermes, che andò subito accanto allo zio per riferirgli qualcosa all'orecchio.

Il Moro sgranò gli occhi e fissò il nipote: "Sei sicuro?"

Quello annuì e così il Duca disse a tutti i presenti: "Perdonatemi, ho una questione urgente da..." e lasciò la stanza senza dare altre spiegazioni.

Ermes condusse lo zio fino a una delle stanze di servizio, dove li attendeva un uomo che Ludovico riconobbe subito come Giovanni Sforza, signore di Pesaro.

Indossava abiti dimessi e si guardava attorno nervosamente, come se avesse paura che alle spalle del suo parente vi fosse nascosta qualche guardia vaticana.

"Che ci fate qui?" chiese il Duca, teso.

Ermes li lasciò soli, avendo però cura di restare dietro alla porta socchiusa, potendo quindi sentire tutto.

"Sono qui in incognito. Ho paura che il papa..." cominciò a dire Giovanni, ma poi la sua voce si spense, affranta e terrorizzata.

Il Moro lo riscosse e, comprendendo al volo la gravità della situazione, gli ordinò: "Se vorrete restare qui anche solo un giorno, dovrete abbandonare questa buffonata dell'incognita. Vi ripresenterete domani a palazzo con le insegne di famiglia e tutto il resto. Non voglio che si dica che do ospitalità a fuggiaschi..."

L'altro Sforza, a malincuore, accettò subito e dopo qualche domanda del padrone di casa che voleva sapere che cosa mai lo avesse davvero portato lì, il discorso cadde ineluttabilmente sul matrimonio e sul suo possibile scioglimento.

"Oh, fate tante storie, ma come per lettera vi ostinate a tacere sul vero motivo della vostra fuga da Roma!" sbottò a un certo punto Ludovico, stanco di sentire alludere a 'cose orribili' e 'cose non da cristiani'.

"Sapete, vero – disse allora Giovanni, asciugandosi il sudore dal volto e spostando ripetutamente il peso da un piede all'altro – sapete, dico, che il papa vuole che io sostenga che il matrimonio non è valido perché..."

"Perché non avete consumato, lo sa tutta Italia, ormai." fece il Moro, quasi annoiato.

"E invece è stato consumato! Eccome! E non solo una volta!" si infervorò il signore di Pesaro.

"Ne siete certo? Perché ho sentito dire che il papa è pronto a dimostrare l'innocenza della figlia facendola visitare da..." cominciò a dire Ludovico, che vedeva nella rabbiosa autodifesa del parente qualcosa che non quadrava.

"Innocenza?!" sbraitò, ancor più rabbioso Giovanni: "Mia moglie non era innocente nemmeno la prima volta che me l'hanno messa nel letto! E quella serpe di suo fratello lo sapeva benissimo e..."

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Where stories live. Discover now