Capitolo 389: Carpe diem

277 31 191
                                    

Antonio Landi si passò la mano sulla fronte, trovandola coperta da un velo di sudore. Quel marzo, a Venezia, il clima era tutt'altro che primaverile.

Le barche ormeggiate sbatacchiavano contro il bordo dei canali e la piazza era così umida e fredda da ricordare al membro del Consiglio dei Dieci una landa desolata e spersa di qualche paese lontano.

Stringendosi nella cappa come meglio poteva, infreddolito anche per colpa degli abiti bagnati di sudore, Landi avanzò a passo deciso verso il palazzo del Doge, chiedendosi il perché di una convocazione a quell'ora.

Nella bisaccia aveva ancora gli ultimi soldi che Trevisan gli aveva passato quella mattina in cambio di nuove informazioni. Anche se era danaro del tutto normale, ad Antonio pareva che pesasse il doppio e aveva quasi paura che quegli anonimi ducati potessero apparire a chiunque come un'ammissione di colpa.

Quando varcò la soglia del palazzo, passando con noncuranza accanto alle guardie, da un lato si sentì meglio. Almeno si era tolto dal gelo innaturale che batteva la piazza quasi deserta.

La luce delle torce lo accecò un istante, mentre si allentava il mantello e faceva un paio di profondi respiri per calmarsi.

Non aveva ancora avuto modo, però, di guardarsi in giro, che sentì la voce prepotente del capo delle guardi intimargli di stare fermo. Istintivamente, Landi sollevò le braccia, cominciando all'istante a invocare pietà.

Quando due soldati lo presero, uno da una parte e l'altro dall'altra, Antonio cominciò a pregare sommessamente tra sé. Lo frugarono e trovarono la bisaccia piena di monete. Di per sé non era una prova, ma il modo in cui il Consigliere provò subito a schermirsi fu l'accusa più lampante possibile.

"Portatelo in cella." decretò Barbarigo, che era arrivato alle spalle delle sue guardie: "Domani verrà processato all'istante per aver divulgato notizie riservate discusse nel Consiglio dei Dieci. Vedete di scoprire chi è esattamente il suo mandante."


 Su Forlì era sceso un vento gelido che spazzava via tutto, dalla polvere delle strade ai cappelli dei passanti.

Caterina aveva deciso di uscire dalla rocca quando ormai era quasi sera. Voleva andare da Bernardi, e voleva farlo in un'ora tranquilla.

Sapeva che era da molto, troppo tempo che non gli faceva visita e in un certo senso temeva di vedersi accogliere con freddezza. Tuttavia, ormai era prossima a partorire e mai come in quei giorni si sentiva vulnerabile.

Anche se non aveva mai voluto prendere seriamente in considerazione l'ipotesi, doveva rendersi conto infine che un parto era un grosso rischio, soprattutto alla sua età. Giovanni non le aveva più detto apertamente di essere in ansia, visto anche quello che era successo a sua madre nel darlo alla luce, ma da certi suoi atteggiamenti la moglie aveva ben compreso quanto fosse in apprensione.

Senza volerlo, anche la Tigre aveva cominciato a condividerne alcuni piccoli nervosismi e così si era trovata a pensare a che ne sarebbe stato dei suoi figli, compreso quello che stava per nascere, e di suo marito, se fosse morta.

Aveva un discreto giro di Consiglieri che, ne era certa, avrebbero aiutato Giovanni a venire a capo delle questioni più grosse, ma sapeva anche che ai suoi familiari sarebbero servite persone ancor più fidate. Il Novacula ne era un esempio.

Nel corso degli anni, malgrado certe piccole o grandi incomprensioni, era sempre stato un validissimo alleato della Sforza e un suo fidatissimo confidente.

Quando si trovò davanti alla porta della barberia, la Contessa fece un sospiro ed entrò.

Il barbiere, di spalle, non la vide subito. Stava sbarbando un uomo sulla quarantina ed era totalmente assorto nel suo lavoro.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Where stories live. Discover now