Capitolo 273: Ma voi siate astuti come i serpenti e puri come le colombe.

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Virginio Orsini se ne andò lasciando Paolo con un palmo di naso. Non stette ad ascoltarlo nemmeno quando gli gridò di fermarsi e ragionare, nemmeno quando provò a tirare in ballo il loro legame di sangue.

L'idea di Paolo Orsini di mettersi a implorare l'aiuto dei senesi era per Virginio semplicemente inconcepibile.

Dovevano accettare la realtà. Volevano ordire una congiura contro gli oppositori del Fatuo?

Ebbene, a Cortona, dove credevano di trovare alleati avevano invece trovato dei nemici e avevano sventato un complotto contro di loro appena prima di cadere nella trappola. Quello doveva essere un segnale più che chiaro del fallimento della loro impresa.

Il giorno dopo, Virginio si era già ritirato a Città della Pieve. Ranuccio da Marciano si stava avvicinando inesorabile e aveva con se duemila fanti e trecento lance. Sarebbe stato folle, cercare di contrastarlo.

Se anche avessero vinto uno scontro in campo aperto, con quali uomini avrebbero continuato quella lotta senza senso?

Paolo, invece, abbandonato dal suo parente e avvilito per la piega che stava prendendo la sua personale campagna militare, si era dato alla macchia, in Val di Chiana, con i suo trecento soldati scelti e tremila fanti.

Non aveva del tutto abbandonato il suo piano originale, anche se si rendeva conto che non sarebbe stato facile, ora che Virginio lo aveva respinto in modo tanto aperto.

La sua idea era quella di andare prima a Siena e intanto cercare un contatto con i Bentivoglio, sperando che fossero ben disposti ad appoggiare la restaurazione di Piero Medici, prima che Firenze cadesse preda di una guerra civile tra Arrabbiati e Piagnoni.

Quello che l'Orsini però non aveva calcolato era che Giovanni Bentivoglio aveva già un bel da fare per conto suo.

Prospero e Fabrizio Colonna, uscendo dalla cortina di fumo nella quale si erano eclissati negli ultimi mesi, erano riusciti a riprendere contatti coi francesi.

Carlo VIII, pur essendo intento a leccarsi ancora le ferite dopo la svantaggiosa pace di Vercelli, non sembrava del tutto deciso a lasciar perdere l'Italia e così aveva preso accordi sottobanco con i due romani e li aveva mandati negli Abruzzi, a insidiare proprio le terre dei Bentivoglio.

Così, quando Giovanni Bentivoglio ricevette una missiva espressa e accorata di Paolo Orsini, in cui gli si richiedeva un impegno militare in cambio del futuro favore di Firenze, il signore di Bologna sputò in terra e stracciò il foglio, vanificando in un solo gesto tutti i buoni propositi dello zio del Fatuo.


 All'arrivo a Castelnuovo di Veggiani, Numai e Russi, Tiberti si affrettò a riorganizzare le truppe, per sfruttare al meglio quell'opportunità che sembrava più unica che rara.

I tre nuovi arrivati gli avevano consegnato un breve messaggio della Contessa, con cui lei gli dava il suo benestare per continuare con la seconda fase della campagna e il comandante non poteva che esserne felice.

Con un buon tempismo e un po' di fortuna, non avrebbero trovato sul loro cammino grossi ostacoli e avrebbero conquistato terreni importanti e ricchi intermini di cibo e commercio, spendendo in confronto un'inezia in soldati.

Guido Guerra, l'unica incognita vera in quella missione, non aveva ancora reagito all'attacco subito sul suo confine e forse non lo avrebbe nemmeno fatto.

Così, dopo aver lasciato un certo numero di soldati ai nuovi Governatori e al nuovo castellano nominati dalla Contessa, Tiberti ripartì subito.

In un paio di giorni, praticamente senza dover mai incrociare spada con il nemico, sotto la sua marcia caddero Teodorano, Mulino Vecchio e tutte le altre piccole rocche della zona.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Where stories live. Discover now