Capitolo 303: Un cappello rosso, ma di sangue, voglio!

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Virginio Orsini stava in testa alla colonna dei suoi. Avrebbero puntato subito verso Castellamare di Stabbia, dove avrebbero atteso le navi per il loro rientro in Francia.

Nei giorni passati in attesa di arrendersi, Gilberto di Montpensier aveva mandato lettere a profusione e infine era riuscito a strappare la promessa di un passaggio fino alle terre d'Oltralpe e non era il caso di perdere quell'occasione.

L'esercito filonapoletano osservava gli sconfitti sfilare in processione come penitenti e Francesco Gonzaga si era messo davanti ai suoi uomini, in armatura completa, in sella al suo destriero, per salutare con tutti gli onori l'Orsini e il cognato.

Gilberto era rimasto in chiusura, dopo averne discusso a lungo con Virginio. Era meglio dividersi testa e coda della colonna, in modo da poter tenere sotto osservazione tutta la truppa, evitando dispersioni e inconvenienti.

Il Marchese di Mantova aspettò che l'esercito nemico fosse abbastanza lontano da vedersi solo in modo solo indistinto e, sicuro che ormai la testa della colonna fosse in aperta campagna, anzi, forse già vicina ai boschi, diede l'ordine con un cenno.

Vedendo i prescelti partire, Francesco, soprattutto pensando che presto li avrebbe seguiti, si sentì quanto mai un traditore.

Anche se quella mattina aveva ricevuto la notizia della nascita di una seconda figlia che Isabella aveva voluto chiamare Margherita – evento che lo aveva rallegrato, malgrado avesse disciolto ancora una volta la sua speranza di aver generato un erede maschio – il suo spirito quel giorno era gravato da un'ombra scura e tutto intorno a lui, malgrado il sole accecante di luglio, gli pareva grigio e mesto.


 La vegetazione si stava facendo man mano fitta e Virginio non sopportava più gli insetti che gli ronzavano attorno, pungolandogli il collo e la faccia.

Cominciava a credere che sarebbe stato meglio fare una strada più lunga, ma più comoda. Tanto, una volta a Castellamare di Stabbia, avrebbero comunque dovuto attendere.

Era ancora infastidito per il rifiuto di Gonzaga, posto all'ultimo momento, che si era detto non più disponibile ad accompagnare di persona le loro truppe, però, visto che adesso erano certi di avere delle navi sicure, Virginio non aveva fatto la voce grossa e si era accontentato di salvare la pelle e lasciarsi Atella alle spalle.

"Ci stiamo sgranando troppo..." sussurrò tra sé, guardandosi alle spalle e cercando di scorgere il resto della colonna tra le piante.

Spronando il cavallo, disse al suo secondo di far rallentare il passo e cominciò a percorrere a ritroso la strada, per raggiungere il Montpensier e chiedergli di far ravvicinare la coda alla testa. Era meglio restare il più compatti possibile. Non potevano ancora dirsi fuori pericolo ed era bene che fosse chiaro a tutti.

Più avanzava, però, più i drappelli di uomini che incontrava erano meno e meno numerosi e alla fine si accorse che la coda dell'esercito semplicemente non c'era più.

Agitandosi, batté i tacchi sui fianchi della sua bestia e andò ancora oltre. Quando trovò i primi cadaveri in terra con i crani spaccati o le gole tagliate, comprese cos'era successo. Fece in fretta retro front, ma non fu abbastanza rapido.

"Fermo dove siete!" gridò un uomo e Virginio si sentì trascinare giù di sella da due paia di mani senza che potesse opporsi.

Ma da dove erano sbucati?

Uno di quelli che l'aveva disarcionato gli fece segno di stare zitto e gli legò le braccia dietro la schiena, mentre l'altro teneva fermo il cavallo.

"Abbiamo già preso il tuo amico, quel maledetto Duca, quello che si fa chiamare Viceré." sussurrò quello che l'aveva catturato: "E ora se la vedrà con il re Ferrandino."

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Where stories live. Discover now