Capitolo 385: Cursus honorum

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Giovanni ascoltò in silenzio quello che la moglie doveva dirgli. Quella rivolta a Rimini cadeva come un fulmine a ciel sereno.

Se da un lato era vero che a loro avrebbe fatto comodo uno sbocco sul mare, e che provare a prendere la città del Malatesta in quel momento sarebbe stato più semplice che in altri, d'altra parte era anche vero che una guerra in quel momento sarebbe stata un rischio enorme.

Erano chiusi in una delle stanze del palazzo degli ambasciatori. Benché non ci avesse mai vissuto, il Medici aveva tenuto il suo alloggio e lo usava per incontrare mercanti e altri notabili, giusto per non portarli alla rocca, quando doveva concludere qualche affare per Firenze.

"Secondo te che cosa dovrei fare?" chiese alla fine la Tigre, mettendosi a giocherellare, agitata, con una delle penne ancora sporche di inchiostro che stavano sulla scrivania.

Il Popolano, seduto dall'altro lato, ci pensò ancora un po'. Gonfiò le guance e poi, come i suoi movimenti ripetitivi e nervosi lo stessero distogliendo troppo dal suo ragionamento, fermò le mani della moglie con le proprie, inchiodandole con delicatezza al tavolo.

Mentre faceva così e puntava gli occhi altrove, pensoso, Caterina notò ancora una volta come non più solo il mignolo di una mano, ma anche il suo controlaterale e l'anulare a cui portava il nodo coniugale fossero in parte rovinati dai segni della gotta. Avevano perso l'armonia e la linea perfettamente dritta che avevano fino a pochi mesi prima, e le articolazioni erano gonfie e un po' arrossate.

Appena prima di aprir bocca, il fiorentino seguì le iridi verdi della moglie e quando si accorse cosa stessero fissando, ritrasse le mani in gran velocità, nascondendole sotto la scrivania, le guance che prendevano una spiacevole tonalità di rosso e le labbra che assumevano un'espressione rigida.

Giovanni non avrebbe voluto scorgere quel tipo di sguardo negli occhi di Caterina. Non era né commiserazione, né disappunto. Era solo una profonda preoccupazione. E quando la scorgeva, per caso o per episodi come quello, il vuoto nel petto che, di solito sviando la mente riusciva a colmare, tornava a farsi spazio, dilatando la sua stessa paura e la consapevolezza di quello che prima o poi gli sarebbe capitato.

"Io non attaccherei." disse alla fine il Medici, fingendo di ricontrollare dei documenti nel cassetto della scrivania.

"Perché?" chiese la donna, fingendo anch'ella di dedicare la propria attenzione ad altro.

"Perché o la trasformi in una guerra di annessione vera e propria, preparandoti al contrattacco dei veneziani, oppure ti accontenti di infastidirlo, razziando un po' di campagna, approfittando del fatto che il suo esercito sarà già troppo impegnato a difenderlo." spiegò Giovanni, chiudendo il cassetto di scatto.

"Così facendo potremmo recuperare un po' di cibo e di denaro." obiettò la Contessa.

"Credevo che non fossero metodi di tuo gradimento." ribatté il fiorentino, alzandosi e facendole segno di seguirlo.

Mentre stavano già uscendo, la Tigre disse: "Non voglio infierire sulla popolazione, ma..."

Chiudendo la porta, per un momento i due si trovarono entrambi nel vano, tanto vicini da sfiorarsi.

In quel mentre, il Popolano colse qualcosa nella moglie che fino a poco prima gli era sfuggito. Era distratta. Non solo per il momento di imbarazzo appena passato. Doveva essere successo qualcos'altro.

"Non stai ragionando con lucidità." provò a dire l'uomo, chiudendo a chiave e avviandosi verso le scale.

"Secondo me, nemmeno tu." fece notare la Leonessa, che era convinta che il marito fosse stato distratto, come a volte accadeva, dal tormentoso pensiero della sua malattia.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Where stories live. Discover now