C412:Da mi basia mille,deinde centum,dein mille altera,dein secunda centum...

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Caterina si rigirò nel letto. Il lenzuolo le si era attaccato un po' alla pelle per colpa del sudore. Il caldo non lasciava la città nemmeno di notte, ormai, e spesso era difficile riuscire a prendere sonno, anche tenendo la finestra aperta.

La Tigre, quindi, che si era addormentata relativamente da poco, aprì subito gli occhi quando si rese conto che Giovanni non era accanto a lei. Nel buio, rischiarato appena dalla luce della luna che arrivava tersa e fredda, la donna si accorse che il marito era ancora in camera e si stava vestendo.

Le dava le spalle e la sua schiena pallida era chinata. Si era già infilato le brache e si stava mettendo le scarpe. Quando si spostò per recuperare la camicia, finalmente il Medici notò che la Contessa era sveglia.

"Dove stai andando?" gli chiese lei, scoprendosi un po', per rinfrescarsi, e fissandolo.

Il Popolano si schiarì la voce. Quella era la penultima notte prima della sua partenza. Avrebbe voluto passarla tranquillamente addormentato tra le braccia della sua Caterina, ma la sua testa non gli dava un attimo di pace.

Quando la Leonessa si era assopita, un paio di ore prima, lui era rimasto con gli occhi sgranati rivolti al soffitto e alla fine aveva deciso di fare qualcosa, perché non riusciva a tacitare tutto quello che gli si agitava nel petto.

"In chiesa." rispose lui, a voce bassa, quasi con fretta.

La Sforza fece un sospiro e distolse lo sguardo, abbandonando la testa sul cuscino e allargando le braccia sul materasso ancora umido del sudore di entrambi: "A quest'ora?" chiese, ben sapendo che comunque non gli avrebbe fatto cambiare idea.

"Preferisco. Adesso non incontrerò nessuno." confermò il Medici, che già aveva pensato di andare alla chiesa di San Girolamo, dove i Battuti gli avrebbero sicuramente aperto.

"Vuoi che ti accompagni?" chiese la donna, senza aspettarsi di sentirsi dire di sì.

"No, non preoccuparti. Vado, prego un momento, e poi torno alla rocca." disse infatti il fiorentino.

"Qui da me?" domandò Caterina, quasi con distrazione.

"Prima magari passo da nostro figlio." soppesò Giovanni, infilandosi la camicia e chiudendone in fretta i lacci: "Per stare un po' con lui... Intanto che c'è tranquillo."

La Contessa annuì, si raccomandò: "Stai attento, soprattutto in città." e, dopo che egli si fu piegato un momento sul letto per salutarla con un bacio, strinse a sé il guanciale, annusando il sentore del marito e cercò di riaddormentarsi, dicendosi che, tanto, aspettarlo sveglia sarebbe servito a poco.

Il Popolano, vedendola relativamente tranquilla, uscì senza dire altro e in pochi minuti fu fuori dalla rocca.

L'aria della notte era piacevole e il suo odore strano, un insieme di strade sporche, profumo di campi e fumi ancora non del tutto svaniti di osteria, lo accompagnò fino alla chiesa di San Girolamo.

Come aveva previsto, non trovò alcun problema nell'entrare e, anzi, quando provò a dare una moneta al prete per il disturbo di avergli aperto il portone, quello si rifiutò, dicendogli che la casa di Dio non aveva bisogno di pedaggi.

Il Medici allora andò davanti all'altare. Solo qualche candela era ancora accesa e dava alla navata centrale un che di spettrale che, tuttavia, a Giovanni non dispiaceva. In un certo senso, gli permetteva di concentrarsi di più sul tormento che provava verso di sé.

Avrebbe voluto mettersi in ginocchio, ma le sue gambe si erano fatte rigide, per colpa delle fatiche della giornata, e così rimase in piedi, limitandosi a chinare il capo e sillabare in un sussurro tutte le preghiere che conosceva.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Where stories live. Discover now