Capitolo 362: Sangue

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Ascanio Sforza, nel profondo, stava gioendo per le lacrime che continuavano a rigare il volto stanco di Alessandro VI.

Ogni volta che il papa tirava su col naso o si metteva a fissare il vuoto biascicando qualche parola nella sua lingua, per il Cardinale milanese era un'autentica festa in Duomo.

"Ditegli – fece il Santo Padre, riprendendosi un po' dopo l'ennesima vuota richiesta a Dio del perché Juan fosse morto a quel modo – che la via pacifica è da preferirsi alla via legale..."

Ascanio annuì, pensando a come il suo parente a Pesaro avrebbe preso quell'ennesima richiesta del papa. In tutta sincerità, si era convinto che il lutto per il suo figlio prediletto gli avrebbe fatto dimenticare per un po' la storia dell'annullamento del matrimonio tra Giovanni e Lucrecia, ma evidentemente non era così.

"La via legale – riprese Rodrigo, tamponandosi un po' gli occhi con la manica già umida della tunica papale – sarebbe molto più rapida ed efficiente. Vogliamo solo dargli la possibilità di cavarsela senza onta."

Il Cardinale, che sapeva quanti ottimi avvocati il parente di Pesaro potesse vantare alla sua corte, provò a dire: "Dichiararsi impotente non sarebbe un'onta, per vostro genero?"

"Non chiamatelo a quel modo!" inveì il papa, le narici dell'imponente naso che si aprivano come froge di un cavallo: "Non è mai stato mio genero. Non veramente. E direi che gli convenga dire di non aver consumato il matrimonio perché non ce la faceva, piuttosto che sostenere di essere stato gabbato e intrappolato in un matrimonio non valido..."

Ascanio non era del tutto d'accordo, ma finalmente aveva capito perché il papa volesse che fosse lo Sforza a tirarsi indietro spontaneamente, senza dover incorrere in una causa legale.

Se si fosse arrivati davanti a una giuria, Giovanni avrebbe potuto rifiutare le accuse e il papa avrebbe dovuto forzare il giudizio verso uno scioglimento arbitrario e immotivato. Lucrecia ne sarebbe uscita con la reputazione a pezzi.

In un processo riguardante il matrimonio, era sempre il marito ad avere ragione. Probabilmente in quel frangente, il papa si stava maledicendo per non aver avuto solo figli maschi.

"Avete capito che cosa dovete riferire al vostro parente?" chiese alla fine il Santo Padre, stanco.

"Ho capito benissimo." confermò Ascanio, chinando il capo, servile.

"E allora vedete di convincerlo." concluse Rodrigo, guardando negli occhi il Cardinale e poi borbottando: "Voi e quel vigliacco avete lo stesso sangue, eppure siete così diversi..."

"Avere lo stesso sangue non sempre dà gli stessi risultati." si permise di far notare Ascanio.

Il Borja alzò le sopracciglia, non molto colpito dall'ultimo inciso e dichiarò concluso l'incontro facendo segno allo Sforza di andarsene e sbuffando: "Vedete di fare in fretta. Convincetelo, che diamine. Dio solo sa se a questo povero papa servono altre preoccupazioni..."


 La mattina di giugno era fresca e soleggiata. Nella riserva di caccia della Contessa il terreno era ancora un po' fangoso, in alcuni punti, ma per il resto era ben praticabile.

La natura si stava risvegliando con tutta la sua potenza, dopo quel lungo e strano inverno, e gli animali che la Tigre e il marito incrociarono furono parecchia, abbastanza da dar loro l'imbarazzo della scelta su cosa cacciare.

Siccome non avevano portato con loro né altri cacciatori, né un carretto, Caterina preferì concentrarsi su un'unica preda. L'occasione arrivò dopo un paio d'ore di ricerca, quando si trovarono davanti un meraviglioso cervo di grosse dimensioni.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora