Capitolo 401: Mi basta bene l'animo de difendermi

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Il rinnovato governo fiorentino aveva scelto il suo Segretario. Machiavelli non aveva potuto credere, in un primo momento, a una simile fortuna. Anche se sapeva di meritarselo, quando quel 28 maggio la sua carica era stata resa ufficiale, era rimasto ugualmente senza parole per qualche istante.

Essere Segretario gli avrebbe dato un potere sotterraneo che mai avrebbe potuto sperare di ottenere in un momento di pace. La morte di Savonarola e i rimaneggiamenti che ne erano seguiti erano stati la chiave di volta per il suo insperato avanzamento di grado.

Benché Niccolò fosse intimamente certo di meritare una simile carica, non confidava abbastanza nei suoi concittadini per sperare di ottenerla. E invece, il fato e le coincidenze, gli avevano permesso di fare la carriera che aveva immaginato. O, almeno, di fare il primo passo.

"Sia ben chiaro – gli aveva detto il Gonfaloniere di Giustizia – sarà il Consiglio degli Ottanta a eleggervi formalmente. E poi ci vorrà la ratifica del Consiglio Maggiore. Ma ormai potete starvene tranquillo, il posto è vostro."

Machiavelli, che era di indole inquieta, trepidava di gioia, ma allo stesso tempo, quando si fermava a pensarci come in quel momento, mentre attraversava a passo spedito la via Larga, diretto al palazzo della Signoria, i dubbi lo attanagliavano come scorpioni.

Stringeva la sua cartellina al petto, i capelli indomabili sollevati dal venticello insolente di fine maggio, e i suoi occhi più che guardare la strada davanti a sé erano spersi in eventualità di ogni tipo.

Immaginava nuovi colpi di Stato, nuovi sedicenti santi in vita pronti a ribaltare le sorti di Firenze, una guerra...

La guerra. Niccolò deglutì, scansando all'ultimo minuto un nugolo di bambini scalzi che correva.

La cocente sconfitta a San Regolo per la Repubblica era stata peggio di una bastonata sul naso. La Signoria aveva subito chiesto aiuto a tutti i vicini, ma nessuno voleva rispondere. L'unica, a quanto pareva, era stata la Sforza di Forlì.

Tuttavia, pure lei aveva spedito a Firenze solo parte dell'esercito, tenendo l'artiglieria migliore e il figlio ben al sicuro, con la promessa di inviarli in un secondo tempo.

Secondo Machiavelli già era folle fare accordi con una donna, specie se in tema bellico, ma piegarsi in modo tanto vigliacco alle sue pretese...

Era all'altezza di Palazzo Medici quando notò appena fuori due figure che conosceva bene. Uno era Lorenzo il Popolano e l'altro, per quanto smagrito e in abiti un po' consumati, era di certo Sandro Botticelli.

Siccome la paura che, complice il nuovo re francese, il ramo Popolano dei Medici potesse perdere di nuovo il potere, favorendo così un ritorno del Fatuo – e quindi un ennesimo stravolgimento del governo che avrebbe messo in dubbio la sua carica di Segretario – era forte, Niccolò volle avvicinarsi, sia per capire cosa rendesse tanto truce il volto dei due uomini, sia per cercare di ingraziarsi Lorenzo.

"Accettate, vi dico!" stava dicendo il Medici, allargando le mani con il fare di chi non sa più che pesci prendere: "Si tratta di qualche dipinto, nulla di che, ma sarebbe importante, per voi... Non potete continuare così..."

Botticelli non l'aveva lasciato continuare e, scuotendo il capo, aveva ribattuto, perentorio: "Non posso. Finché si tratta di qualche piccolo lavoro di manutenzione, posso pensarci, ma non di più."

"Buona giornata, messeri..." salutò, con un inchino ossequioso Machiavelli, capendo che il discorso in essere non gli interessava.

Lorenzo lo guardò di sottinsù, trovandolo come sempre ridicolo, con il suo viso appuntito, da faina, e il suo fisico reso ancora più comico dal vestone scuro che si era messo a portare da quando aveva subodorato la possibilità di diventare qualcuno.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora