Capitolo 443: Il respecto, suspecto, et despecto.

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Simone rintuzzò il fuoco nel camino e poi restò qualche istante appoggiato al cornicione di pietra, gli occhi fissi sulla fiamma viva.

Lucrezia, alle sue spalle, non diceva nulla. Suo marito era tornato da poco dal fronte e aveva incrociato solo di sfuggita Ottaviano Manfredi, e pareva essersi già fatto un'idea molto chiara della situazione.

Si era detto abbastanza ottimista, a riguardo del destino dello Stato della Tigre, anche se non si fidava troppo del faentino esule. Era vero che quell'uomo voleva riprendersi Faenza e che quindi avrebbe fatto di tutto per eliminare Astorre, ma Ridolfi credeva impossibile che una volta riuscito nel suo intento si accontentasse di una striscia di terra, e non dell'intera porzione di di territorio che da Imola scendeva fino a Forlì.

Tuttavia quelli erano problemi secondari, per lui, in quel momento. Anche se a Marradi la situazione si era risolta in loro favore, Simone temeva la reazione violenta della Sforza nei suoi confronti.

Aveva subito chiesto a Lucrezia se per caso, durante la sua assenza, fossero arrivati messi o lettere della Contessa o dei suoi Consiglieri, ma quando la donna aveva negato, il fiorentino non si era comunque sentito più tranquillo.

La notte era trascorsa tranquilla. Ridolfi era tanto stanco che, dopo aver mangiato, si era steso a letto, con la moglie accanto, e, dopo averle raccontato qualche breve episodio delle battaglie a cui aveva preso parte – le prime vere battaglie della sua vita – si era addormentato come un sasso.

"Hai paura?" chiese a bassa voce Lucrezia, arrivandogli alle spalle.

Il Governatore di Imola finalmente distolse lo sguardo dal camino. Gli ci volle un po', prima che i suoi occhi dimenticassero il bagliore accecante del fuoco, ma quando si voltò verso la moglie, la sua bellezza lo colse in pieno, come un pugno allo stomaco.

Ci aveva pensato troppo tardi. Facendo come aveva fatto, aveva messo automaticamente in pericolo anche lei. La Tigre, lo si sapeva, era una donna dura e inflessibile e in passato non si era fatta troppi scrupoli nel punire anche innocenti e donne.

"Perdonami, Lucrezia." sussurrò l'uomo, trattenendo il fiato, quando la Feo lo strinse a sè nell'abbraccio più dolce che gli avesse mai concesso da che si conoscevano.

"Non dire così." tentò di tranquillizzarlo lei: "Se la Contessa non ha ancora fatto nulla contro di te, magari è perché ha in fondo approvato quello che hai fatto."

"Non mi darà una medaglia per aver agito senza informarla." commentò Simone a denti stretti, mentre affondava il viso nei lunghi capelli neri della moglie.

"Ma magari nemmeno di ucciderà." provò lei.

"La Tigre non dimentica i torti subiti." si ostinò Ridolfi, tenendosi stretta Lucrezia come se fosse la cosa più preziosa del mondo: "E non perdona."

"Tu continua a fare bene il tuo lavoro." si risolse infine a dire la donna, il volto premuto contro la sua spalla: "Quello che succederà, succederà e lo affronteremo insieme."

Simone annuì piano e poi, dopo un istante infinito, si scostò appena da Lucrezia e le disse: "Non mi hai ancora parlato dei giorni in cui ero via. È successo qualcosa di importante?"

"A parte la leva forzosa di cui ti ho già parlato, nulla." confermò lei, accarezzandogli il viso coperto dalla spessa barba rossiccia.

"Hai... Hai incontrato i nostri fittavoli?" chiese Simone, con un'esitazione straziante, senza osare sollevare lo sguardo.

"No." fece subito Lucrezia, ma poi aggiunse, come a smorzare la forza di quella dichiarazione che per entrambi aveva un senso molto più profondo di quanto potesse sembrare: "La Tigre ha messo sotto le armi quasi tutti i nostri contadini. Non avevo nulla da dire, né da fare con i nostri fittavoli."

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Where stories live. Discover now