Capitolo 442: Non fuit in solo Roma peracta die.

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"Senza i miei soldati, senza il mio intervento immediato, sarebbero caduti entrambi nelle mani dei veneziani il giorno stesso in cui il primo di loro ha messo piede a Marradi!" si infervorò la Tigre, facendo un passo avanti che si tradusse in un immediato passo indietro del fiorentino.

"Ricordatevi che siete anche voi cittadina di Firenze, ormai." fece Pazzi, la voce ferma, malgrado la sua espressione facesse capire quanto fosse impaurito dalla sua interlocutrice: "In cambio della cittadinanza, voi dovete rispettare il volere della Repubblica, come qualunque altro fiorentino."

Caterina si sentì sull'orlo di un'azione spropositata. Sentiva il pugnale premere contro la gamba e sapeva che sarebbe riuscita a estrarlo e usarlo per tagliare la gola a Pazzi prima ancora che quest'ultimo d'avvedesse dei suoi movimenti.

Tuttavia, era come se una mano invisibile la stesse bloccando. Era come se Giovanni, con la sua ferma calma e la sua capacità di ragionamento a freddo, la stesse tenendo ferma.

Stringendo i denti, la Contessa mandò giù un po' di saliva, a fatica, e poi concluse, sentendo uno spillo in gola a ogni parola: "Come volete. Teneteveli. Non mi interessano, nè la rocca, nè il cumulo di macerie che è diventata Marradi."

Pazzi accennò un sorriso, ma a quel punto, avendo avuto la meglio su due punti, temeva a esporre il terzo, perché aveva capito fin dal suo primo giorno a Forlì che se c'era un argomento su cui la Sforza era realmente intrattabile, quello era il suo defunto marito, Giovanni Medici.

"Avete altro da dire? Avanti, non fatemi perdere tempo." fece la Contessa, guardando nervosamente il salone spoglio in cui si erano incontrati.

Non le piaceva cedere, ma sapeva di aver fatto la cosa giusta. Era come un nano in mezzo ai giganti. Se non voleva essere schiacciata troppo presto, era costretta a cedere loro il passo, di quando in quando.

"Ecco, l'ultima cosa che devo chiedervi è più... Personale, diciamo." si arrischiò a dire Andrea, tormentandosi le mani.

Caterina comprese subito che dovesse c'entrare suo cognato, Lorenzo. Perciò si fece seria, il viso illuminato di nuovo dalla luce battagliera che l'aveva animata all'inizio dell'incontro.

"Messer Lorenzo Medici – espose Pazzi, guardando in terra – vi chiede nuovamente di far recapitare presso il suo palazzo gli effetti personali di suo fratello. Specialmente i libri e gli indumenti, giacché sono di grande valore e teme che..."

"Teme che?" lo incalzò la donna, dato che il diplomatico pareva essersi accorto di aver parlato troppo.

Pazzi si maledisse per la sua scarsa attenzione. L'agitazione gli aveva fatto dimenticare per un istante l'importanza di non dire troppo. Cercò di rimangiarsi quelle due parole in eccesso, ma nelle iridi accese della donna c'era un bagliore che lo mise alle strette.

Aveva sentito troppe cose su di lei per riuscire a stare tranquillo e fare la voce grossa. Sapeva che quella strana donna sarebbe stata capace di ucciderlo lì, su due piedi, e senza un motivo troppo valido, infischiandosene delle regole della diplomazia e del buoncostume.

Perciò, dicendosi che era meglio essere un ambasciatore inaffidabile vivo, piuttosto che un ambasciatore irreprensibile morto, vuotò il sacco: "Messer Medici teme che voi li vogliate rivendere per finanziare i vostri vizi e i vostri eccessi."

Le mani della Sforza corsero con tanta rapidità al colletto del giubbetto del fiorentino che questi si sentì quasi mancare. Fissandolo negli occhi, la donna lo strattonò con violenza, mostrando i denti.

"Dite a Messer Medici che non avrà nulla, nemmeno un laccio da manica o un angolo di una pagina. Le cose di mio marito restano con me in questa rocca." sibilò, con tono minaccioso, le labbra a pochi millimetri dal volto dell'ambasciatore: "Se proprio me li vuole portare via, abbia il coraggio di venire qui di persona, invece di schermarsi dietro a inutili burattini come voi."

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Where stories live. Discover now