Capitolo 434: Nessuno ama l'uomo che porta cattive notizie

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"Non sta a te fare certi discorsi." lo zittì la donna, quasi tentata di farlo andare via, visto che ormai, dal colore del cielo oltre la finestra pareva che l'alba non fosse lontana.

"Almeno ditemi perché avete cercato ancora me e non un altro." disse piano il ragazzo, smettendo di accarezzarla, ma continuando a guardarla.

Caterina, che invece teneva lo sguardo fisso al soffitto, ci mise un po' prima di rispondere: "Vuoi la risposta gentile o quella sincera?"

"Entrambe." fece lui, puntellandosi sul cuscino con il gomito per osservarla meglio: "Ma prima la gentile."

"Va bene..." soffiò la Tigre, coprendosi accuratamente con il lenzuolo fino alla gola: "La risposta gentile è che sei bravo nel tuo lavoro. Ed è vero, sia chiaro: io credo che tu sia molto bravo in quello che fai. Se non lo fossi, di certo dopo la prima volta non ti avrei voluto più. Il mondo è pieno di gente che si vende per due soldi: avrei provato uno dei tuoi amici."

"Ho capito." disse il giovane, l'espressione sul viso che si induriva appena: "Quindi mi avete trovato bravo, ma non è la risposta completa, giusto?"

"Infatti." annuì la Sforza, che in fondo non avrebbe voluto fare discorsi simili, ma che trovava sollievo nel parlare, perché così non sarebbe ripiombata nel sonno e da lì nei suoi incubi: "La risposta completa è che tu sei bravo e che sei pagato per fare quello che voglio io. Per compiacermi e tenere la bocca chiusa. Senza contare che sai quello che fai, e quindi io posso rilassarmi di più. È molto più sicuro, per me, passare una notte con te, piuttosto che con il primo diciottenne che trovo nei baraccamenti."

Dopo quelle parole, il giovane si chiuse un momento in uno strano silenzio. Probabilmente stava valutando le parole della donna ed era difficile capire cosa ne pensasse.

Tuttavia, mentre Caterina lo fissava, nella luce appena più chiara del momento che precede l'alba, i suoi occhi rimasero di nuovo rapiti dal suo fisico prestante e disponibile. Così, prima che il ragazzo potesse esprimere una qualsiasi idea, la Contessa si impose di nuovo su di lui, esigendo che si impegnasse fino in fondo, in modo da giustificare appieno il prezzo dei suoi servigi.

Quando ormai il giorno era cominciato e la Leonessa aveva placato a sufficienza la sua fame, il giovane finalmente si sentì dire che poteva andarsene, stando ovviamente attento a non farsi vedere e riconoscere da troppa gente, lunga la strada per l'uscita.

La Sforza lo pagò, come promesso, e gli disse che in caso di bisogno, avrebbe fatto recapitare un messaggio al postribolo, senza più dover usare il Novacula come intermediario.

Appena lo ebbe chiuso fuori dalla camera, Caterina tornò sul letto e, un po' stranita, ebbe, per la prima volta dal giorno prima, chiara davanti a sè la cifra di quel che aveva fatto.

Le mani aperte sul lenzuolo ancora umido di sudore, le narici piene del sentore del ragazzo che era appena andato via e sul corpo la sensazione ancora viva della sua pelle e delle sue mani.

Si vestì con gli abiti della sera prima e tornò nella camera che aveva diviso con il marito per cercarsi vestiti adatti per la giornata.

Dopo essersi cambiata e risistemata, cercò nel cassetto il nodo nuziale e se lo rimise. Lo guardò un momento, mentre riluceva ai pallidi raggi del sole settembrino.

Un nodo le strinse la gole e mille spilli le punsero gli occhi mentre, ricacciando indietro una lacrima di pentimento e ineluttabile colpevolezza, sussurrò, dopo aver sfiorato l'anello con le labbra tremanti: "Perdonami."


"Posso vedere la Contessa?" chiese Gaspare Sanseverino, dopo che l'ebbero lasciato entrare a Ravaldino.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Where stories live. Discover now