Capitolo 418: Valiceno

Magsimula sa umpisa
                                    

A sommarsi a quello, c'era stata la mezza rivolta di trecento suoi soldati, che, una volta riparati con lui a Cascina, avevano fatto un gran fracasso perché pretendevano di essere pagati in largo anticipo.

C'erano volute le armi, per rimetterli in riga. Le armi e un sacco di tempo.

"Ci sono tutti?" chiese Marco, guardando Giovanni Gradenigo con un velo di insofferenza nella voce.

L'altro condottiero riassunse: "Millecinquecento fanti, duecento balestrieri a cavallo, quaranta schippettieri a cavallo, cinquanta stradiotti e centosettanta armigeri. Sì, ci sono tutti."

L'altro annuì e poi, guardando un po' sconsolato gli ultimi effettivi della sua truppa, commentò a denti stretti: "Ma guardateli... Senza elmo, quasi senza armatura, in disordine... Ma che razza di esercito mi hanno dato..."

"Fa molto caldo, oggi... Cercate di capirli. In fondo è solo uno spostamento. Non stiamo andando in battaglia..." fece Gradenigo, cercando così di placare un po' il livore del suo comandante.

Questi, in tutta risposta, strinse le labbra e ribatté, acido: "Questo non è uno spostamento e basta, ma un lavoro di scorta ai rifornimenti diretti a Pisa. Questi soldati dovrebbero essere pronti a difendere i muli da..."

"Ma chi volete che ci attacchi?" sbuffò Franco dal Borgo, arrivandogli alle spalle, un mezz'elmo sotto al braccio e l'espressione ancora assonnata: "Avanti, muoviamoci."

Marco da Martinengo allargò le braccia, quasi in segno di resa e andò fino al suo stallone scuro e, malgrado tutte le sue perplessità, ripercorse la colonna fino a mettervisi alla testa.


"Madre... State bene?" la voce di Bianca suonò lontana, alle orecchie di Caterina che, senza accorgersene, aveva appena rovesciato il calice di vino che aveva in mano.

Erano nella stanza di Ludovico e la ragazza stava aiutando la balia a cambiare il fratellino, quando aveva notato quel momento di cedimento della madre, preoccupandosene subito.

La Sforza non sapeva dire cosa le fosse successo. Aveva avvertito solo una sorta di vuoto all'altezza dello stomaco, quasi una somatizzazione di una grande paura, e per una manciata di secondi non era stata presente a se stessa.

Tuttavia, per quanto si sentisse madida di sudore gelato, era tornata in sé: "Sto bene... Sto bene... Io non so come..." fece, guardando la macchia rossa che si era allargata in terra accanto al calice rovesciato.

"Non temete, mia signora, pulisco io..." fece la balia, servile, lasciando a Bianca la cura di Ludovico e affrettandosi a rassettare.

La Contessa, un po' in imbarazzo per quanto successo, accarezzò pensierosa con la punta delle dita il nodo coniugale che portava all'anulare e poi preferì lasciare la stanza, dicendo che aveva bisogno di stendersi un attimo. E in effetti era vero. Appena si era alzata, la testa le era girata e aveva dovuto aggrapparsi alla balia per non cadere.

La donna, sentendo la mano bollente della Tigre sul proprio braccio, si permise di dire: "Mia signora, scottate..."

"Non è nulla." disse Caterina, con una nota di ostinazione nella voce.

E così, sotto lo sguardo silenzioso di Bianca e della balia, la donna andò alla porta, senza nemmeno salutare Ludovico. E fu quest'ultimo dettaglio a impensierire la figlia perché, malgrado con tutti gli altri la Leonessa fosse sempre stata molto distante, con il più piccolo era diventata man mano sempre più premurosa e affettuosa, tanto che vederla uscire dalla stanza senza nemmeno guardarlo era di certo la spia di qualcosa di grave.


Le truppe veneziani stavano vociando in modo sconclusionato, procedendo senza seguire un ordine preciso, quasi fossero intenti in una scampagnata di piacere.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Tahanan ng mga kuwento. Tumuklas ngayon