Capitolo 417: Chi dice che gli è cosa dura l'aspettare, dice el vero.

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Quando gli parve che tutti quanti avessero capito, avvantaggiato anche dalla disciplina che Caterina aveva saputo instillare nei suoi soldati e che la presenza del Medici aveva rinvigorito in tutti quanti, Giovanni si ritirò nel padiglione del figliastro che, su suo consiglio, era andato a sua volta dai suoi uomini a ribadire ulteriormente la questione.

Arrivato nella tenda, il Popolano si prese qualche momento per riprendersi. Avrebbe voluto cercare di dormire un po'. Il viaggio l'aveva sfiancato, anche se non era stato un tratto lunghissimo, e il suo morale era a terra.

Però sapeva che era indispensabile, ora che era lì, fare tutto quello che era in suo potere per difendere sua moglie e la sua famiglia. Chiamò allora uno dei suoi e gli dettò una lettera da spedirsi a Forlì il prima possibile.

"Aspettate..." disse poi, bloccando il soldato che stava già andando a cercare una staffetta rapida che potesse partire subito: "Voglio scrivere anche una lettera personale."

"Volete che la scriva per voi?" chiese l'uomo, guardando di sfuggita le mani del Medici, adesso senza guanti, le cui dita apparivano più gonfie e arrossate che mai.

Il fiorentino fu quasi tentato di accettare, ma poi, pensando al contenuto della missiva che sentiva il bisogno di scrivere, fece segno di no e disse: "Non ci metterò molto. Aspettatemi fuori dal padiglione. Ve la consegnerò appena l'avrò chiusa."

Così, rimasto solo, Giovanni si mise allo scrittoietto da campo e, stringendo i denti per il male e rammaricandosi per la grafia incerta che usciva dalla sua penna, scrisse direttamente a Caterina, parlandole come se l'avesse davanti a sé.

La staffetta partì abbastanza di buon'ora, assicurando che sarebbe stata a Forlì il più in fretta possibile. Il Medici aveva specificato all'uomo di aspettare la risposta alla prima missiva, affinché potesse ripartire subito, ma non della seconda.

"Ci vorrebbe troppo tempo – spiegò il Popolano, quasi con rammarico – e inoltre... Non c'è una vera risposta, quindi..."

Per il resto del pomeriggio attese che Ottaviano tornasse alla tenda e lo pregò di fargli avere qualcosa da mangiare.

Il figliastro, felice di avere una figura rassicurante come il patrigno accanto a sé, non si indispettì, come avrebbe fatto con altri, e anzi recuperò per lui quel che offriva il rancio e glielo servì con la docilità di un servo.

Il Medici in realtà mangiò poco, lo stomaco chiuso e la bocca amara, ma ringraziò ugualmente moltissimo Ottaviano, soprattutto per essere riuscito a trovargli da bere del vino che non fosse molto forte e che fosse poco speziato.

Si stava appena facendo buio e il campo ribolliva ancora di vita, ma Giovanni proprio non ce la faceva a stare ancora sveglio. Si sentiva intorpidito e rallentato e voleva dormire, nella speranza che al risveglio tanto il suo corpo, quanto la sua mente, sarebbero stati molti più freschi.

"Ti prego..." fece, rivolgendosi a Ottaviano, che, sullo sgabello, lo osservava mentre si cambiava per la notte: "Siccome vorrei riposare... Se potessi non far troppo rumore e magari evitare di ricevere gente, per stasera..."

Il Riario annuì subito e assicurò: "Spegnerò anche le luci, se volete. Baderò personalmente che non vi disturbi nessuno."

Il Medici, che ormai vedeva solo la branda che era stata preparata per lui, gli si avvicinò e gli diede una piccola pacca sulla spalla, e, senza nemmeno accorgersene, un rapido bacio in fronte, come avrebbe fatto se quel ragazzo spaventato fosse stato davvero suo figlio e poi, con un sospirone, si coricò e si addormentò quasi subito.

Ottaviano, che era rimasto spiazzato dalla dolcezza con cui il patrigno gli aveva augurato la buonanotte, rimase seduto a fissarlo ancora a lungo, tanto da sentire la sera e poi la notte calare sul campo.

Se io potessi scrivere tutto, farei stupire il mondo. (parte III)Where stories live. Discover now